Aristea Ceccarelli

Testimoni del Risorto 24.08.2016

I figli non arrivano, in compenso a dieci anni dal matrimonio arriva per Gino un posto fisso nelle Ferrovie, nel settore ragioneria, che comporta il trasferimento a Roma. Sembra proprio che il Signore stia attendendo qui Aristea, facendole frequentare la parrocchia romana del Corpus Domini, dove entra in contatto con i Camilliani. Saranno tre i religiosi che accompagneranno il suo cammino spirituale, prima il padre Verrinot, poi il padre Ferroni, infine il padre Bini: tre artisti dello spirito che, accorgendosi delle meraviglie che da sempre lo Spirito ha operato in questa umile donna, la sostengono e la incoraggiano. Cambiando città, infatti, non sono purtroppo cambiati il carattere e le abitudini di Gino, al quale tuttavia Aristea si sente legata per il “sì” pronunciato davanti a Dio e, forse, con la segreta speranza di portarlo a conversione. Nel suo diario ci sono parecchie tracce di questa sua fedeltà eroica, nonostante tutto, all’uomo della sua vita, come quando afferma con assoluta convinzione: “Lo penso sempre e lo ripeterei a tutte le spose: adornatevi internamente l’anima meglio che potete per Gesù, ma esternamente per il marito. Se lo attirerete a voi, lo attirerete a Dio stesso”. La miglior conferma della bontà di questo suo “metodo coniugale” è rappresentata proprio dal progressivo riavvicinamento alla fede di Gino, culminato nel 1948 con la sua “conversione”. Muore il 30 gennaio 1964, pienamente riconciliato con Dio e con gli uomini, soggiogato e convinto dalla moglie, che ha continuato ad amarlo malgrado quanto le ha fatto passare per più di 46 anni. Lei, da parte sua, evita l’alienazione, cui poteva andare incontro per le disumane condizioni in cui viveva, attingendo una forza inspiegabile nella preghiera: anziché anestetizzarle il cuore glielo rende particolarmente sensibile, anche alle sofferenze degli altri, mentre le fa amare la propria, impedendole di subirla in modo passivo e autodistruttivo. Pressoché analfabeta nelle scienze umane, diventa “esperta” nelle cose di Dio, elevandosi a lui con slanci mistici che hanno dell’incredibile. “Santa nel quotidiano”, tra i tegami e con il mestolo in mano, si sente spinta verso i malati, particolarmente assidua nel visitare quelli ricoverati al Sanatorio Umberto I, annesso all’ospedale San Giovanni, e, tra questi, i piccoli tubercolotici. La vedono, inoltre, visitare tanti malati a domicilio, per portare ai più poveri un aiuto anche materiale, ma a tutti indistintamente una parola di consolazione e di speranza. È per questo che, a poco a poco, diventa un punto di riferimento per chi ha bisogno di un consiglio, una parola buona, una preghiera o un conforto. Dicono che anche il presidente della Repubblica Antonio Segni la voglia a più riprese al Quirinale, riconoscendo in lei una donna che porta Dio ovunque va. “Io fui veramente per bontà di Dio come il canale di tanto e tanto bene” è costretta lei stessa ad ammettere, con la semplicità e l’onestà dei santi, sul finire della sua vita. La mancata maternità biologica è ampiamente compensata da una maternità spirituale, esercitata soprattutto verso le vocazioni camilliane perché, tra le altre cose, le si riconosce una non comune capacità di discernimento, di cui spesso ci si avvale specialmente nei casi di vocazioni fragili o dubbie. Con la sua adesione al ramo laico della Famiglia Camilliana, è “mamma” a pieno titolo e sono tanti a considerarsi suoi “figli”: si sussurra infatti che cose prodigiose avvengano per la preghiera di Aristea e la sua casa diventa un porto di mare per ogni umana miseria. Che d’altronde nella sua vita non sono mai mancate, come lei stessa ha sperimentato fin da bambina e che culminano, negli ultimi anni, con dolori diffusi, problemi cardiaci ed infine l’idropisia, che le impedisce a poco a poco anche di uscire di casa. “Non importa spasimare e morire se nella morte noi troveremo la vita, la luce, l’amore!”, aveva detto nel periodo in cui maggiori erano i suoi problemi familiari. Ora, che anche la decadenza fisica aumenta in modo progressivo e la lucidità si alterna alla semi-incoscienza, si abbandona sempre più gioiosamente all’intimità con Dio, in un crescendo di fiduciosa confidenza. “Ora devo andare … abbiamo finito di soffrire … non vi abbandonerò!” la sentono sussurrare un giorno: si spegne serenamente poco prima della mezzanotte del 24 dicembre 1971. Seppellita prima al Verano, dopo sei mesi i Camilliani vogliono traslare la salma di Aristea Ceccarelli nella chiesa di San Camillo, dove incessante prosegue il pellegrinaggio di chi a lei si raccomanda.
(2 - fine)