Domenichino Zamberletti

Testimoni del Risorto 28.05.2014

Quarantacinque anni fa ero andato, insieme a don Barbero, a cercarne la tomba, nel piccolo cimitero del Sacro Monte di Varese: sembrava un parco-giochi in miniatura, tutta ingombra di pupazzetti e giocattoli che, ci fu spiegato, erano altrettanti ex-voto di chi si affidava alle preghiere di quel bambino. Sorprende, malgrado il tempo trascorso, che ancora oggi sia così, perché i genitori non hanno perso l’abitudine di salire fin lassù a chiedere la guarigione o la conversione dei loro figli. Anche se Domenichino Zamberletti non è, ancor oggi, neppure beato: a bloccarne la “Causa”, ai suoi primi passi, furono i suoi stessi genitori, preoccupati dell’eccessiva intraprendenza di un sacerdote, che dal Sud un po’ troppo sovente saliva al Sacro Monte a fare incetta delle cose appartenute al loro bambino. Non si è invece bloccato il flusso di grazie, che hanno del miracoloso, ottenute per intercessione del ragazzino, morto a neppur quattordici anni promettendo: “Quando avrete bisogno di qualche grazia chiedetela a me, ma chiamatemi, chiamatemi…”. Nasce nel 1936, nella famiglia dei gestori dell’albergo, localizzato a pochi passi dal celebre santuario che domina il Sacro Monte. Pur cresciuto tra pentole e fornelli, gattonando tra i tavoli e familiarizzando con i clienti, è chiaro fin da subito che quello dell’albergatore non sarà il suo destino. All’attività di famiglia preferisce di gran lunga il vicino santuario, di cui già a sei anni diventa il chierichetto più affezionato e solerte e, a nove anni appena, addirittura organista-titolare. Quello della musica è un dono naturale, di cui i genitori si accorgono sentendolo suonare “ad orecchio” al pianoforte dell’albergo, e che hanno l’accortezza di coltivare senza trasformare lui in un bambino-prodigio. Oltre ad accompagnare all’organo le messe solenni, destreggiandosi in deliziose “improvvisazioni” durante la consacrazione, Domenichino a neppur dodici anni si rivela anche compositore di una messa a una voce e di numerose pastorali natalizie. La scintilla scocca sui dieci anni: vincitore del Premio-Roma messo in palio nella gara catechistica, vedendo in piazza San Pietro tanti sacerdoti intenti alle confessioni dei ragazzi, si sente nascere dentro la voglia di essere prete, magari tra i Camilliani, certamente in veste di missionario. Intanto va a scuola dai Salesiani a Varese e lì si innamora di don Bosco e soprattutto di Domenico Savio, al quale si sente legato non solo dal nome, ma anche dal desiderio di raggiungere in fretta la santità. La sua spiritualità fa progressi: la preghiera diventa intensa e fervorosa, sempre più intenso il desiderio di far sempre la volontà di Dio, ancora più insistente la spinta ad accompagnare il cammino dei suoi amici verso Gesù, cioè, come si diceva allora, a far apostolato. Ha la stoffa del leader e riesce a far presa sui coetanei e particolarmente sui chierichetti, dei quali diventa cerimoniere attento e scrupoloso, aiutandoli ad entrare nel vero spirito della liturgia in cui lui, evidentemente, si trova già da tempo più che a suo agio. Il “cocco della Madonna”, come lo chiamano in casa, ha una devozione tenerissima per la mamma di Gesù, alla quale indirizza volentieri i suoi piccoli amici: è forse anche per questo che il suo santuario, che è la “casa della Madonna”, gli è così familiare e vi si trova così bene. A gennaio 1949 si manifestano i sintomi di una strana malattia, caratterizzata da febbre alta, vomito e dolori articolari, che i medici per un anno non riescono a diagnosticare: soltanto nel successivo mese di dicembre, infatti, alla Columbus di Milano riescono ad individuare una rara forma leucemica, all’epoca inguaribile, malgrado ogni tentativo di cura, anche dolorosa, cui viene sottoposto e nonostante il suo prepotente desiderio di star bene “per diventare sacerdote”. Le crisi della malattia sembrano inspiegabilmente acuirsi ogni venerdì, ed in modo particolare il 7 aprile 1950, venerdì santo, tanto che qualcuno è portato a vedere in ciò una relazione con la passione di Gesù, alla quale comunque Domenichino è costantemente unito, tutto offrendo per la salvezza degli altri, anche l’inappagato desiderio di essere prete. Chiude per sempre i suoi occhi il 29 maggio 1950, annunciando con gioia che la Madonna gli sta venendo incontro: da meno di tre mesi Domenico Savio è  beato, mentre Domenichino potrebbe esserlo tra qualche anno, se il suo attuale arciprete avrà il coraggio di far riavviare il processo di beatificazione, come tanti devoti insistentemente chiedono.