Elisabetta Canori Mora – 2

Testimoni del Risorto 07.09.2016

Umiliata ma non sconfitta, tradita ma per nulla perdente, Elisabetta riesce a tener testa all’adultero marito costruendosi una propria personalità libera, paziente e misericordiosa, che non si lascia piegare dalle derisioni, dalle privazioni e neppure dalle minacce. Non per compensazione, men che meno per rivalsa nei confronti di un marito inadempiente sotto tutti i punti di vista, accetta che Gesù venga “a fare da padre e padrone di casa”, attraverso una maturazione cristiana che compie grazie all’aiuto di illuminati consiglieri spirituali. Aderisce al Terz’Ordine trinitario e scopre la sua vocazione nella Chiesa: essere dono di amore in Cristo, animata dallo Spirito, per la gloria del Padre e per la salvezza dei suoi e di tutti gli schiavi e i poveri, a cominciare dal marito, perché è difficile trovare chi sia più di lui schiavo delle proprie passioni e spiritualmente più povero. Il suo diario, scritto per obbedienza al confessore e pubblicato con il titolo “Nel cuore della Trinità”, racconta della sua ascesi, nell’eroica fedeltà a un uomo che arriva anche a pretendere da lei, sotto la minaccia di un coltello puntato alla gola, un’autorizzazione scritta a frequentare l’amante, nella speranza di scampare così alla galera cui, a quel tempo, andavano incontro gli adulteri e gli immorali. La denuncia di adulterio parte dalle sorelle, ma a farne le spese è principalmente Elisabetta, per la quale inizia il periodo più difficile e delicato, in cui c’è da temere per la sua stessa incolumità. Amici, parenti e anche qualche confessore le consigliano di abbandonare un marito violento, volgare e pericoloso, che potrebbe anche ucciderla, ma lei ostinatamente rifiuta, sentendosi protetta dalla preghiera e dalla sua intimità con Gesù. Non lo fa per opportunismo o moralismo, men che meno per motivi economici, avendo ormai raggiunto un’autosufficienza con i suoi lavori di cucito, che gli permettono di provvedere da sola al mantenimento della famiglia, marito compreso, ma perché a lui si sente legata per fedeltà al fatidico “sì” pronunciato davanti all’altare. Sembra che questo suo eroismo, unito a un’intensa vita spirituale, venga premiato in modo singolare attraverso doni speciali: esperienze mistiche, scrutazione dei cuori, spirito di profezia, poteri taumaturgici che fanno della sua casetta luogo privilegiato per accogliere, consolare, guarire le tante ferite fisiche e morali dei suoi contemporanei. Naturale è che da lei, già allora considerata la santa paziente delle donne tradite, trovino particolare accoglienza le famiglie in difficoltà. Alle frequenti derisioni e agli scherni del marito, risponde ora con frasi oscure, dal vago sapore profetico: “Ridete, ridete, voi direte la messa e confesserete”, oppure: “Verrà anche per voi la Notte di Natale”. Muore il 5 febbraio 1825, appena cinquantenne e nei 40 giorni di malattia si accorge che Cristoforo è più presente, magari anche disposto a vegliarla, ma non ha la gioia di vederlo cambiato: invariate sono rimaste le sue abitudini, anche nella notte del 4 febbraio, quando esce per i suoi soliti divertimenti notturni, rientrando come sempre all’alba del giorno dopo. Quel mattino, però, Elisabetta, non è ad attenderlo, sveglia come sua abitudine, perché è spirata da alcune ore e i singhiozzi senza ritegno davanti al suo cadavere sono la reazione del tutto inattesa di Cristoforo: non lacrime di coccodrillo come si potrebbe malignamente dedurre, ma un pianto purificatore, che sembra voler cancellare i 27 anni di torture che le ha inflitto. Da quel preciso istante inizia il processo di conversione di Cristoforo, che, si scoprirà in seguito, pochi mesi prima si è visto morire tra le braccia anche l’amante. Da impenitente dongiovanni trasformato nel più irreprensibile vedovo, cerca, nel pianto e nella preghiera, il perdono per il suo passato in un percorso che inizia con l’innamorarsi per la seconda volta di Elisabetta, della quale riconosce che “l’aveva fatta santa con i suoi strapazzi”, passa attraverso la pubblica ammenda delle sue colpe affermando che “una simile madre non si trova al mondo, e io sono indegno di esserle stato consorte” e termina con il suo ingresso nei Francescani e la sua ordinazione sacerdotale nel 1834, avverando così la “profezia” della moglie. Morirà l’8 settembre di undici anni dopo con fama di santo, diventando il miglior capolavoro di Elisabetta Canori Mora, che la Chiesa ha proclamato beata il 24 aprile 1994 insieme a Gianna Beretta Molla: entrambe, secondo l’espressione di Giovanni Paolo II, “donne d’eroico amore”.
(2 – fine)