Fernanda Riva

Testimoni del Risorto 07.02.2018

Per ribattezzarla “missionaria della gioia”, gioiosa deve essere sul serio E se è vero che l’umorismo è l’arte di trasformare le cose della vita in un sorriso, lei allora è pure una gran umorista, per le allegre battute, i piacevoli scherzi e i fraterni sollazzi con cui condisce le sue giornate. E pensare che, agli inizi, c’è davvero poco da ridere nella vita di Fernanda Riva, ad appena tre mesi già orfana di padre e a 18 mesi chiamata pure a fare i conti con la morte della sorellina di nove anni. Buon per lei che sua mamma non è abituata a piangersi addosso e subito si rimbocca le maniche, per continuare a garantire ai suoi bambini pane e sorriso. Per questo crescono coscienziosi, maturi e temprati alla vita; i due maschietti provano a verificare in seminario la loro vocazione sacerdotale: uno rientra a casa e si forma una famiglia, l’altro diventa sacerdote pavoniano e va missionario in Brasile. Lei, la femminuccia superstite, decide dopo la terza ginnasio di interrompere gli studi, spinta forse soprattutto dalla situazione economica della famiglia. Difatti, mentre lavora da commessa in una merceria, studia di sera con il sogno di raggiungere da privatista il diploma di maestra. L’Azione Cattolica forma in lei l’ossatura della vera cristiana ed infiamma la sua giovinezza con gli ideali di Azione-Preghiera-Sacrificio. L’oratorio è la sua seconda casa e ne diventa anche animatrice, lasciandosi coinvolgere dalle dinamiche Madri Canossiane che propongono buone letture e drammatizzazioni, gare di catechismo e gite in bicicletta, spingendola a dare il meglio di sé anche nei tornei di pallavolo. E poiché da cosa nasce cosa, frequenta anche con piacere i congressini missionari e i ritiri mensili, sempre organizzati dalle Canossiane, di cui comincia a desiderare di far parte. Si tratta del “suo” segreto, che svela solo al compimento dei 18 anni, quando comunica di voler diventare madre canossiana, esattamente come quelle che sono state così importanti nella sua formazione cristiana. Inizia il noviziato a Vimercate nel febbraio 1939, ma sette mesi dopo, visto che la guerra incombe, la mandano a proseguirlo a Belgaum, in India. “Sono felice di andare là dove Gesù mi chiama ed ha preparato per me una grande famiglia che mi aspetta e mi ama prima ancora di conoscermi”, dice lei, che per la gioia non sta più nella pelle. Trova, nell’India che l’accoglie, la questione ancora aperta dell’indipendenza, che proprio in quegli anni si va affermando con la resistenza non violenta di Gandhi, e le mille contraddizioni delle sacche di miseria e dell’opulenza sfacciata. Per suor Fernanda l’educazione rappresenta il modo migliore di dimostrare carità cristiana e secondo il carisma della Congregazione, si spende principalmente in campo educativo. Per questo, dopo la Professione, accetta di riprendere gli studi, coronati con la laurea a Bombay e successivamente con la qualifica per la docenza universitaria. Ovviamente agli studi personali deve dedicare le ore notturne, perché le sue giornate sono tutte assorbite dalle studentesse. “La sua gentilezza e gioia costante avevano un effetto magnetico sulle ragazze. Con il sorriso sempre sulle labbra diffondeva pace e serenità tra le studentesse; durante la ricreazione contagiava tutti con la sua gioia”, ricorda una consorella. Nessuno tuttavia dimentica che a lei stanno altrettanto a cuore i poveri delle periferie per i quali si inventa il Social Service Samaj, una specie di servizio civile che vede impegnati studenti e docenti a ciò invogliati anche da particolari crediti formativi. Nel 1951, quindi poco più che trentenne, diventa preside del complesso scolastico Canossiano di Mahim, alla periferia di Bombay e, due anni dopo, magnifico rettore della prima università femminile nello stato del Kerala. Ribattezzata “angelo delle piccole attenzioni” nelle varie comunità canossiane in cui vive ed opera per la delicatezza che riserva a consorelle ed alunne, briosa, allegra, gioiosa, amante degli scherzi innocenti e anima di tutte le feste e i momenti di fraternità, assiste impotente al declino delle proprie forze a causa di un’ulcera maligna che la costringe ad un delicato intervento chirurgico, non sufficiente tuttavia ad evitare la diffusione di metastasi. “Sperando una dolce accoglienza da TE, Maestro, che gioia è il morire per me”, scrive a 36 anni non ancora compiuti: ormai è pronta a fare “il salto sulle ginocchia del Padre”, che avviene all’alba del 22 gennaio 1956. Di Madre Fernanda sono state riconosciute le virtù eroiche e si attende il miracolo per la beatificazione.