Fra’ Cecilio Cortinovis

Testimoni del Risorto 06.07.2016

Nel 1914 la meningite lo porta sull’orlo della tomba e ci vuole un vero e proprio miracolo del beato confratello fra’ Innocenzo da Berzo per farlo ritornare tra i vivi, ma questo incontro ravvicinato con la morte gli dischiude qualche spiraglio di Aldilà, facendogli ancor più apprezzare la vita come dono da mettere al servizio dei fratelli. C’è anche un fatto misterioso, una particolare esperienza mistica datata 5 luglio 1922, che viene a segnarlo in modo indelebile, un momento di Tabor che illuminerà negli anni lo scorrere dei suoi giorni, impedendo alla monotonia e all’ordinaria normalità delle sue mansioni di avere su di essi il sopravvento. Dopo essersi modellato ai piedi dell’altare, eccolo pronto a seminare l’amore di cui ha fatto abbondante provvista. La sua figura diventa popolare quando comincia a girare per Milano, prima come aiuto e poi come “questuante di città”, secondo la più squisita tradizione cappuccina che raccoglie di casa in casa quanto serve per sfamare i poveri del convento. Basta poco per accorgersi che è molto più quanto si riceve da lui di quanto gli si dà: lo si vede dalla serenità che distribuisce e dal conforto che offre. Di conseguenza, aumenta anche la quantità di aiuti che finisce nella sua bisaccia, perché i milanesi hanno la certezza che sono in buone mani, come dimostra la fila dei poveri in via Piave che si è ingrossata da quando i frati hanno di che soccorrerli: in meno di un anno si passa dai 40 chili al quintale di pane distribuito al giorno, senza contare, come egli stesso annota, “riso, pasta, pesce, carne e anche tutto ciò che si è potuto avere dalla cucina del convento… La minestra che si distribuisce è un quintale al giorno agli uomini e una quarantina di porzioni al giorno alle donne, perché queste preferiscono avere pane da portare ai loro bambini”. È un vero e proprio fiume di miseria quello che ogni giorno si riversa sul convento, destinato ad aumentare vertiginosamente nel periodo bellico, con il razionamento del cibo e la persecuzione razziale, per cui accanto alla carità materiale occorre assicurare anche quella, altrettanto preziosa, dell’accoglienza, sotto mentite spoglie, di ebrei e partigiani, da mettere al sicuro, ma a rischio della vita. Neanche le bombe riescono a staccare fra’ Cecilio da Milano, ma non c’è da credere che dai milanesi raccolga solo consensi: sono molte le porte che non gli si aprono, tanti gli insulti che colleziona, innumerevoli gli scherni in risposta al suo tradizionale saluto “Dio sia benedetto”. Tutte cose che lui ha messo in conto e che giorno per giorno ha imparato ad accettare e vivere con amore, convinto, scrive, che “le contrarietà continuate e vissute con l’aiuto divino sono la necessaria crocifissione con Cristo che ci rende partecipi della sua passione e morte”, anche perché “andare in Paradiso senza le mani forate non sarebbe neanche dignitoso”. Impara a sue spese, lasciando emergere le sue origini montanare, che “per amare veramente si devono percorrere strette valli, sentieri difficili, dare la scalata ad alti monti, sino a raggiungere la più alta vetta: il Crocifisso”. Nel 1959 fonda l’«Opera San Francesco per i poveri» ricevendo, come inaspettato regalo di un benefattore, un refettorio nuovo di zecca che offre un riparo dignitoso ai suoi poveri, prima costretti a far la fila all’addiaccio. Per il suo funzionamento ha l’accortezza di far leva sulla forza silenziosa e insostituibile del volontariato, la stessa che anche oggi, dopo quasi 60 anni, permette all’Opera di servire ogni giorno ai poveri di Milano oltre 2500 pasti. Commentava di aver “conosciuto un numero grandissimo di famiglie e di persone che hanno bussato alla porta del convento, per cercare di sfamare il corpo, ma ho anche veduto che in genere vi è maggior bisogno di Dio”. Tutto invecchia, anche il suo cuore, che comincia a far le bizze perché gli sono stati richiesti troppi sforzi. Allo scoccare dei 94 anni deve così passare ad altre mani la direzione della sua Opera, continuando tuttavia a sostenerla con la sua preghiera ed i suoi consigli. Gli stessi che regala a quanti lo vanno a cercare per trovar conforto e misericordia, fino al giorno in cui è indispensabile ricoverarlo in infermeria a Bergamo. Qui lentamente si consuma, fino al tramonto del 10 aprile 1984 in cui incontra “sorella morte”: naturalmente, mentre prega e sorride, anzi con un sorriso tale da impressionare i presenti, ancora oggi convinti che il quasi centenario fra’ Cecilio Cortinovis abbia avuto la fortuna di “vedere” prima ciò a cui andava incontro.
(2 – fine)