María Montserrat Grases García, detta Montse

Testimoni del Risorto 05.12.2018

“La fabbrica, l’ufficio, la biblioteca, il laboratorio, l’officina, le pareti domestiche possono trasformarsi in altrettanti luoghi di incontro con il Signore”: così diceva San Josemaria Escrivà, ponendo le basi dell’Opus dei. Ora sappiamo che queste parole hanno anche avuto il potere di dare una svolta e un significato alla vita di María Montserrat Grases García, detta Montse, nata e vissuta a Barcellona (Spagna) tra il 1941 e il 1959. Seconda dei nove figli di una coppia di appartenenti all’Opus dei, cresce delicata e fragile per colpa di una bronchite capillare contratta a 15 mesi. Malgrado tutto, cresce vivace e spensierata, di carattere allegro ed esuberante, con una gran passione per la musica e il pianoforte. Consapevole delle reazioni brusche che a volte ha, cerca di modificarsi e migliorare con una equilibrata autodisciplina, che denota la sua maturità e la sua ferma determinazione. Dopo le elementari si avvicina anche lei all’Opus dei, cercando così di appagare il suo insaziabile desiderio di perfezione. Da questo momento le sue doti innate di simpatia e buongusto, le sue passioni per la danza, lo sport e le escursioni diventano altrettante occasioni per incontrare Dio e per trasmetterlo agli altri. A dimostrazione che, come dice oggi anche Papa Francesco, i cristiani autentici non sono mai “musi lunghi”, Montse diventa sempre più un’esplosione di gioia, con cui contagia tutti quelli che l’avvicinano. Trasforma i suoi doveri di ogni giorno, dalla partita a tennis o a pallacanestro alla vita in famiglia, in preziosi appuntamenti con Dio da vivere all’insegna della gioia, con la maggior perfezione umana possibile, facendoli diventare strumenti della propria santificazione. Restano oggi di lei, prezioso termometro della sua ascesi, gli appunti dei suoi esami di coscienza giornalieri, nei quali registra i suoi progressi e i suoi piccoli fallimenti, i suoi sforzi e le sue sconfitte, e da cui si scopre, ad esempio, che anche la gioia, sua principale caratteristica, è frutto di continuo allenamento e progressiva conquista. Il 24 dicembre 1957 chiede l’ammissione all’Opus dei e si getta nell’apostolato. “La domenica andavamo a fare catechesi a Montjuich”, ricorda un’amica di allora, “in una scuola che sembrava più che altro una baracca, con tetto di legno e lamiere, e insegnavamo catechismo a bambine molto povere. Altre domeniche ci davamo appuntamento nella piazza di Barcellona dove veniva organizzato il ballo della sardana… e a Montse piacevano moltissimo la musica e il ballo”. Lo spettro della malattia si affaccia in modo improvviso ed inaspettato: dai primi accertamenti clinici, iniziati a gennaio 1958, arriva alla fine una diagnosi che equivale ad una sentenza di morte: sarcoma di Ewing al femore sinistro. Tocca a papà il doloroso incarico di comunicarlo alla figlia, alla quale non nasconde anche l’incurabilità della malattia; la famiglia e i più intimi sono in apprensione per la sua possibile reazione, evidentemente sottovalutando il cammino di maturazione umana e cristiana finora compiuto dalla ragazza, che al comprensibile stordimento iniziale concede pochi istanti appena. Le restano poco più di nove mesi di sofferenze atroci, tutte vissute con il suo abituale sorriso, con l’identica voglia di vivere e con immutata fiducia in Dio. Inalterati restano anche il suo anelito alla santità e il suo sforzo di miglioramento continuo, vissuto ora nella consapevolezza di un incontro sempre più prossimo con il suo Signore. Parenti ed amici non sanno che dietro al suo perenne sorriso e alla sua preoccupazione per gli altri, in realtà si nasconde una sofferenza lancinante, “come se un cane rabbioso mi stesse mordendo il ginocchio”. Conversioni, incitamenti al bene, nuove vocazioni e propositi di bene si registrano attorno al suo letto, dove accorrono soprattutto i giovani, perché la santità, eroicamente vissuta, è sempre contagiosa. Montse muore il 29 marzo 1959, Giovedì santo, e il 26 aprile 2016 è stata dichiarata venerabile.