Maria della Purissima Salvat Romero

Testimoni del Risorto 28.10.2015

Una suora spagnola, morta nel 1998, cioè appena diciassette anni fa, è entrata in un ipotetico “guiness dei primati”, raggiungendo la canonizzazione, tra i santi degli ultimi secoli, prima ancora di Madre Teresa e del fondatore dell’Opus Dei (che pure sono stati superveloci) e seconda solo a Giovanni Paolo II, per il quale tuttavia è stata imboccata una “corsia preferenziale” che ha derogato al limite temporale dei cinque anni dalla morte per l’avvio della causa. A dire il vero, le consorelle avevano provato anche con lei, tanta era la fama di santità di cui era circondata, avanzando nel 1999 una richiesta di dispensa per avviare anzitempo l’inchiesta diocesana. La Congregazione per le Cause dei santi non ha ritenuto accondiscendere e il nulla osta è arrivato solo a gennaio 2004, tuttavia madre Maria della Purissima Salvat Romero ha rimontato in fretta e bene, arrivando al traguardo in appena 11 anni: un tempo da record. E non ci troviamo di fronte ad una fondatrice, bensì ad una suora che ha cercato, nel nascondimento e nel servizio umile, di essere fedele custode del carisma della sua congregazione. Maria Isabella nasce nel 1926 nel quartiere di Salamanca a Madrid da una famiglia agiata, che si rifugia in Portogallo durante la guerra civile, per poi rientrare nel 1939 nella capitale spagnola. Entra a 18 anni tra le Suore della Compagnia della Croce, fondate a Siviglia nel 1875 da Angela de la Cruz, e che in particolar modo si dedicano al servizio, anche a domicilio, dei poveri e degli anziani infermi, oltre che all’educazione delle ragazze. Con il nuovo nome di suor Maria della Purissima (o dell’Immacolata Concezione), questa ragazza dell’alta società madrilena cerca di modellare la sua vita, nello spirito della congregazione, sull’austerità, la povertà, il servizio umile nei tuguri in cui bisogna andare a cercare i malati più poveri ed abbandonati. “Nella casa di Dio non ci sono servizi più umili di altri, tutti sono alti”, sussurra a se stessa ed alle altre; così le testimonianze concordano nel ricordare come suor Maria, pur nello svolgimento degli incarichi che di volta in volta le vengono assegnati come direttrice di collegi, superiora o maestra delle novizie, riesce sempre a ritagliarsi, non si sa come, lo spazio per visitare i malati, lavando le loro piaghe, facendo il bucato dei loro effetti personali, cucinando i loro pasti. “Quanto più è forte il nostro amore per il Signore, tanto più amiamo la nostra vocazione e ci entusiasma tutto ciò che ci compete: l’amore per i poveri, lo stare ai piedi di tutti… perché vediamo in esso delle occasioni per dimostrare a Lui il nostro amore”, suggerisce alle novizie, che capiscono non trattarsi soltanto di pie intenzioni, vedendo lo sforzo quotidiano con cui cerca di tradurre in pratica ciò che insegna. Malgrado gli sforzi di non mettersi in evidenza e di passare inosservata, nel 1977 viene eletta superiora generale e in tale carica viene confermata per tre volte: 21 anni in tutto, passati a consolidare le comunità, aprirne di nuove, sostenere le sorelle più fragili, sopportare avversità e incomprensioni, come la temporanea e dolorosa divisione dell’istituto in due province e la porta che le viene chiusa in faccia in una comunità “ribelle”. Un intervento di mastectomia nel 1994 sembra frenare la progressione di un tumore che la sta divorando: si riprende in fretta e prosegue la sua attività di superiora senza risparmiarsi e senza lamentarsi. Intraprende nel 1998 l’ultima visita canonica alle comunità dell’America del Sud, già arsa dalla febbre e resa quasi inappetente, anche se cerca in tutti i modi di non far pesare sulle consorelle la sua indisposizione. Che a settembre, invece, si rivela in tutta la sua gravità, con metastasi che ormai hanno intaccato fegato e polmoni. Non si perde d’animo e sorride alla morte, pur accettando i cicli di chemioterapia che le vengono proposti. Si spegne, dolcemente e silenziosamente, il 31 ottobre, ma evidentemente “parla ancora”. Per la cronaca, il miracolo che ha portato suor Maria alla beatificazione ha riguardato una bimba di tre anni, nata con una cardiopatia congenita e senza la vena cava inferiore, ripresasi nel 2004, in modo inspiegabile da un arresto cardiorespiratorio. Per la canonizzazione, invece, la ripresa dopo due settimane di coma, durante le quali già si parlava di morte clinica e donazione degli organi, di un uomo di 44 anni in seguito ad un arresto cardiorespiratorio durato 27 minuti, con i conseguenti danni cerebrali: giudicati irreversibili, ma che invece così non sono stati.