Padre Mario Vergara

Testimoni del Risorto 21.05.2014

Diventerà beato questo sabato, nella cattedrale di Aversa, portando con sé sull’altare il giovane catechista che insieme a lui è stato ucciso e che diventerà in tal maniera il primo beato della Birmania: si conclude così per padre Mario Vergara un processo di beatificazione durato poco più di 10 anni ed in cui, negli ultimi cinque, è stato affiancato ad Isidoro Ngei Ko Lat. Mario nasce a Frattamaggiore, in una nidiata di nove figli, nel 1910 e, invece di inserirsi nel canapificio di famiglia, entra in seminario a 11 anni, con il suo stile di vita molto “aperto”, l’aria sbarazzina e il suo “carattere ribelle”: insomma, sono davvero pochi a scommettere sul buon esito della vocazione di questo “tipo curioso”. Anche la sua salute si mette di traverso e un giorno arriva agli estremi, per un’appendicite degenerata in peritonite, che non lo fa morire, ma lo lascia con il fisico indebolito. Nonostante tutto arriva in tempo, il 26 agosto 1934, ad essere ordinato prete ed a partire un mese dopo in direzione della Birmania. Subito si dedica allo studio delle lingue locali, imparandone in pochi mesi addirittura tre e viene assegnato al distretto di Citaciò, della tribù dei Sokù, con 29 villaggi cattolici e altrettanti catechisti da mantenere, oltre alla cinquantina di orfani raccolti dalla missione. Per la sua gente si spende con generosità: è sempre in movimento, noncurante dei disagi, del maltempo, della malaria; va in giro per i villaggi anche con la febbre in corpo, prodigandosi in mille modi: come prete ed educatore, ma anche in qualità di medico, amministratore e spesso di giudice. Durante la seconda guerra mondiale viene internato per quattro anni in campo di concentramento: gli inglesi non vanno per il sottile e per loro gli italiani sono tutti “fascisti”. Oltre all’inattività, che lo fa soffrire, e alla lontananza dalla sua missione, attraversa periodi brutti per la sua salute e devono asportargli anche un rene. Ha una preoccupazione unica: non essere più “abile” per la missione; nessuno, quindi, è felice come lui, vedendosi assegnare nel 1946 una serie di piccole comunità di nuova evangelizzazione, che si trovano ai duemila metri, sulle catene montuose Prèthole: anche se deve ripartire da zero con la lingua e la conoscenza delle usanze, anche se non ha un buco per dormire e scarseggiano i viveri. Gli assegnano come compagno di avventura il confratello padre Pietro Galastri, che ha qualche conoscenza in muratura e falegnameria, perché lo aiuti almeno a dotarsi delle strutture indispensabili. Si conquista i nuovi parrocchiani semplicemente amandoli, con il suo stile di incondizionata donazione: a nessuno sfugge che cura gratuitamente tutti, anche i non cristiani e questo suscita la gelosia e l’avversione dei Battisti (che, per chi non lo sapesse, sono pur essi cristiani, ma si identificano come una “costola” del protestantesimo). I cristiani, praticamente, si fanno guerra tra loro, con il risultato di allontanare da entrambe le confessioni religiose gli indigeni:  non solo sono impediti di andare nella missione cattolica, ma anche di vendere ai missionari viveri e attrezzi, con lo scopo di fare terra bruciata attorno a loro. Padre Mario assiste impotente alla campagna diffamatoria nei suoi confronti, rispondendo con l’amore alle continue provocazioni. Incontrato il giovane Isidoro lo “arruola” immediatamente come catechista. Trent’anni, da sempre con il desiderio di essere prete, tra Isidoro e la sua vocazione si è messa di mezzo un’asma bronchiale di una certa importanza, a causa della quale ha lasciato il seminario, ma che non ha spento la sua voglia di fare “qualcosa per Gesù”. In attesa di poter essere catechista, ha aperto una scuola gratuita per i bambini e si fa benvolere da tutti per la sua generosità. Accanto a padre Mario si tuffa nel lavoro catechistico, seminando amore, tolleranza, perdono nel clima di odio introdotto dai Battisti. Che adesso, quindi, odiano anche lui, soprattutto da quando è scoppiata la “guerra dei cariani” per l’indipendenza dal governo. Tendono una trappola ad entrambi, attirandoli con la prospettiva di trattare la liberazione di un altro catechista che è stato arrestato. La sera del 24 maggio 1950 padre Mario ed Isidoro cadono nelle mani dei ribelli, fomentati dai protestanti, e vengono fucilati all’alba del giorno successivo. Alcune ore dopo la stessa sorte è riservata a padre Galastri e i loro corpi, gettati nel fiume, non sono mai più stati ritrovati.