Stanley Francis Rother

Testimoni del Risorto 11.10.2017

“Il pastore non può abbandonare il suo gregge”: quando Papa Francesco parla dei pastori con “l’odore delle pecore” addosso, certamente sottintende anche questo, visto che prima di lui ne ha già parlato un Altro, senza mezzi termini, dicendo che solo il mercenario fugge all’arrivo del lupo, mentre Egli sulla croce ha incarnato lo stile del pastore buono “che offre la vita per le sue pecore”. Anche nel 1981 c’è un pastore che non abbandona il suo gregge e ha il nome e il volto di padre Stanley Francis Rother, un prete che lo scorso 23 settembre è stato beatificato diventando così il primo martire statunitense in assoluto e il primo uomo beato del Nordamerica. La sua vita inizia nel 1935 nei campi dell’Oklahoma, nei pressi di Okarche (centro-sud degli Stati Uniti), dove, aiutando i genitori nei lavori agricoli e frequentando le scuole superiori, comincia ad interrogarsi sulla possibilità di essere prete. Tra lui e questo sogno si frappone, però, il latino che gli è indigesto e che, invece, i seminari dell’epoca utilizzano per impartire le lezioni. Se a ciò aggiungiamo la sua poca propensione per gli studi e la sua preferenza per i lavori manuali, capiamo subito perché i seminari del Texas in cui ha studiato dal 1953 al 1959 gli consigliano caldamente di “cambiar mestiere” e lo rispediscono a casa. Buon per lui che il vescovo creda più nella sua vocazione che non nella sua incompatibilità con il latino e lo indirizzi ad un seminario del Maryland da cui, pur tra mille difficoltà, esce nel 1963 per essere ordinato prete. Per cinque anni “si fa le ossa” in alcune parrocchie della diocesi, lasciando dietro di sé il ricordo di prete buono che svolge tranquillamente il suo ministero, ma la vera svolta arriva per lui nel 1968, quando si offre volontario per il Guatemala e precisamente per il territorio di Santiago Atitlán, dove da quattro anni la sua diocesi manda sacerdoti “fidei donum” in mezzo alla popolazione indigena degli Tz’utujil, uno dei ventuno gruppi discendenti dagli antichi Maya, già evangelizzata nel XVI secolo ma da almeno cinquant’anni priva di assistenza spirituale. Straordinario il feeling che il missionario riesce subito a stabilire con questo territorio dalla bellezza sconvolgente, ma soprattutto con la popolazione buona e poverissima: vive in una capanna come loro, condivide i loro pasti; lavora insieme a loro la terra facendo onore alle sue origini contadine e aiutandoli a scoprire nuove colture; realizza un sistema di irrigazione, per aiutarli a migliorare la loro produzione orticola, e una piccola cooperativa agricola. Si inventa una radio parrocchiale e con questa raggiunge anche le capanne più isolate per trasmettere la messa, gli incontri di catechismo e lezioni scolastica per alfabetizzare la povera gente. Padre Rother, da sempre negato per le lingue come il suo curriculum di studi ben dimostra, e quindi sudando le proverbiali sette camicie, riesce ad imparare in fretta lo spagnolo e anche lo tz’utujil, portando a termine la traduzione in questa lingua locale del Nuovo Testamento e dell’intero rito della messa. Tutto questo suo fervore di attività non può certo passare inosservato e nel clima di guerra civile in atto in Guatemala la sua missione inevitabilmente finisce sotto la lente di ingrandimento del regime, abituato per sua natura a non distinguere tra guerriglieri e operatori sociali, anzi sempre pronto a classificare come un sostegno all’insurrezione armata di matrice comunista qualsiasi attività di promozione sociale degli indigeni. Gli squadroni della morte cominciano con il sabotare la radio parrocchiale, continuando subito dopo a fargli terra bruciata intorno con l’uccisione di una ventina di catechisti e laici impegnati. “Dobbiamo stare attenti a dove andiamo e a cosa diciamo a chiunque”, scrive, “Un bel complimento mi è stato fatto di recente da uno, che si lamentava che il Padre sta difendendo la gente. Questa è una delle ragioni che ho per restare, a dispetto del pericolo che corro”. I superiori gli “fanno cambiare aria” richiamandolo nell’Oklahoma, ma vi resiste poco: “Devo tornare e basta. Il pastore non può fuggire al primo segnale di pericolo”. È convinto che “Dio si prenderà cura di noi”, mentre chiede agli amici di pregare “affinché possiamo essere un segno dell’amore di Cristo per questa gente”. Nella notte del 28 luglio 1981 tre uomini armati lo vanno a cercare a casa e lo freddano con due pallottole sparate a distanza ravvicinata: padre Rother muore a 46 anni, esattamente come decine di migliaia di indios sterminati o fatti sparire nel nulla.