Il Papa atteso in Terra Santa per portare speranza

L'augurio di Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, e di mons. Antonio Franco, già nunzio apostolico in Israele

“Non c’è religione autentica che predichi la violenza. Tanto meno, dunque, i conflitti che sconvolgono, in questi anni, soprattutto la regione mediorientale hanno una radice religiosa. Non esistono guerre di religione”. A richiamarlo con forza, in un’intervista su “L’Osservatore Romano”, è il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, recentemente rientrato da Amman (Giordania), dove ha partecipato a un incontro organizzato dai leader di diverse religioni in vista del viaggio di Papa Francesco in Terra Santa. La religione, sottolinea il cardinale, “in nessun modo può favorire o giustificare guerre e violenze. In questo senso la Giordania è esemplare. I cristiani qui non sono perseguitati o minacciati come in altre regioni” e “le violenze contro i cristiani, laddove ci sono, sono frutto di un qualcosa che prescinde dal credo religioso”. Parlando dell’imminente viaggio, Tauran osserva che “il Papa è visto come portatore di speranza e non solo per la Giordania ma soprattutto per quei Paesi della regione mediorientale nei quali infuria ancora la guerra. Sanno che viene non come leader politico ma come pastore e dunque da lui attendono parole di incoraggiamento”. “In prima linea - conclude - ci saranno i rifugiati”, sicuri che egli “può realmente essere la loro voce, quella attraverso la quale gridare al mondo intero la sofferenza patita”.

“Le aspirazioni sono tante. C’è però innanzitutto l’attesa di essere confortati nella professione di fede, di essere riconosciuti nella realtà e di essere guardati nella situazione concreta”. Lo dice al Sir mons. Antonio Franco, nunzio apostolico in Israele e delegato in Gerusalemme e Palestina fino al 2012. “Tutti sanno - dice - che il Papa non risolverà certo i problemi, non darà soluzioni e magari non cambierà neanche la realtà. Le situazioni continueranno ad evolvere secondo i ritmi naturali degli eventi: certo, i processi di pace potranno essere favoriti da questa presenza e dall’incontro con il Patriarca Bartolomeo. Ma tutti sanno che non esistono le magie. Ma il semplice fatto che il Papa venga qui e possa anche pregare insieme a questo popolo, è un segno importante. È per loro il segno che il Papa li porta nel cuore del suo ministero e la speranza che si faccia interprete nei suoi incontri con le istanze della vita sociale, i capi di Stato e le autorità, delle attese di questo popolo. Tutti qui attendono qualcosa: non solo i cristiani, ma anche i musulmani e gli ebrei. Tutti qui attendono perché tutti vivono con un senso di mancanza dentro. La visita e la permanenza del Papa sono un messaggio. Esprimono un’attenzione, un interesse, un affetto”.