Una Chiesa di giovani in cammino con poche cose essenziali

Intervista a don Carlo Occelli, cuneese, in cammino con i giovani lungo la via Francigena

“I giovani, venendo a camminare, ci raccontano che desiderano una Chiesa radicale, che gli dia l'essenziale in un Altro, alle radici del Vangelo con la semplicità della vita”. Così ha dichiarato don Carlo Occelli, responsabile della pastorale giovanile di Cuneo, venerdì 10 agosto, negli studi di Tv2000, accompagnato da una parte della delegazione di cui è stato responsabile in questi giorni di cammino. Sorriso e semplicità disarmanti sono solo due degli ingredienti che lo accompagnano nel suo essere sacerdote con e per i giovani. “Uno zaino, poche cose dentro, dormendo per terra”, hanno segnato l'essenzialità di un cammino ecclesiale che è, a suo dire, metaforico. “Una Chiesa che sia per la strada, oltre gli studi televisivi e le sacrestie, e che sia felice!”. Raggiunto telefonicamente sulla via Francigena, ci ha concesso questo confronto sul significato più profondo di questo evento vissuto dalla Chiesa giovanile italiana.

Perché a Roma proprio a piedi? Avete dato ai giovani dei suggerimenti su come allenarsi? 

Abbiamo proposto loro, in precedenza, di fare alcune gite e di allenarsi soprattutto su asfalto, percorrendo almeno 20-30 km, per provare se venivano fuori le bolle, che le temperature di questi giorni acuiscono, oltre ad altri problemi legati al camminare. Perciò chi non si è allenato prima l’ha pagato dopo, perché è stata dura!

In questi giorni di cammino tutto è proceduto serenamente o ci sono state anche delle difficoltà? 

In realtà il segreto del cammino sta proprio nella difficoltà! Se il cammino fosse di pochi km. e poi ci si sedesse al bar, non sarebbe quello che invece sta venendo fuori da questa esperienza. Il gruppo è esploso con gioia ed entusiasmo, nella tappa più lunga di 37 km. Non si sa bene cosa succeda, ma è così, c'è qualcosa che muove dentro e che fa smuovere anche il cuore! Qualcuno ha avuto sì dei problemi fisici ed è dovuto salire sul pulmino (e spiace interrompere il cammino!); a parte questo nessuno si è lamentato.

Avete avuto una mappa per orientarvi? Delle indicazioni prestabilite?

Un'app ci indicava il percorso, che però non è sempre stato così facile da seguire nei boschi e nei posti un po' più selvaggi. Tuttavia, con google maps, se anche ci si perde, è più facile ritrovare il percorso e arrivare al punto di ritrovo stabilito in precedenza.

Durante il cammino che cosa si è fatto, e come ha funzionato la parte logistica del cibo e acqua?

La giornata è sempre iniziata con la sveglia alle 5.15 ma prima che ci si muovesse tutti (tra colazione, rifare lo zaino, etc.) erano quasi le 7. Poi un momento di preghiera con una riflessione, a cui seguiva il cammino in silenzio (intercalato da una domanda ogni quarto d'ora). Si continuava a camminare fino a pranzo, preparato da cinque cuochi che nel frattempo ci precedevano al posto tappa con due furgoni, così che quando arrivavamo il pasto era già pronto. Seguiva un meritato riposo, poi si ripartiva per raggiungere la palestra dove lavarsi e passare la notte. La preghiera concludeva la giornata.

Per lei, sacerdote, cosa significa essere responsabile di un così nutrito gruppo di giovani? 

Saper governare un po' il cammino, che ha delle regole sia tecniche e sia spirituali (in cui normalmente il primo giorno c'è l'entusiasmo, nel secondo e terzo segue la fatica, anche spirituale. Nel quarto c'è la scoperta della solidarietà del gruppo, e dal quinto in poi ci si comincia ad abbracciare e non si vorrebbe più finire l'esperienza!). Per me soprattutto ha significato immaginare una Chiesa in movimento, che ha lasciato a casa un sacco di cose che essenziali non sono, che ha uno zainetto con cinque cose dentro, e che continua il percorso con poco. E a quanto pare questa Chiesa piace anche a loro! 

Quali proposte un evento del genere può lasciare in chi vi ha partecipato? Un'iniziativa del genere non mette anche l'accento, come ha affermato Paola Bignardi a TV 2000 “sulla necessità di incontri che spazino oltre le proprie chiese locali”? Non c'è infatti il rischio, nella vita ordinaria, di essere troppo diocesani, dimenticando in realtà di essere chiesa universale? 

Diciamo che la chiesa diocesana è già un bel traguardo, perché normalmente si finisce di vivere solo la propria parrocchia. Il bello di questa iniziativa e che in mezzo a noi c'era anche chi non conosceva nessuno, ed è venuto con molto coraggio. Convergono quindi prospettive di tante piccole parrocchie, che ti obbliga a sentirti Chiesa al di là del proprio campanile. Quello su cui abbiamo insistito durante il cammino è il valore della fatica, cioè per arrivare ad una meta bisogna faticare, sudare. E questo vale anche per la fede, imparando a fare silenzio e ad ascoltare la Parola di Dio. Per noi questa esperienza è stato un bel serbatoio di tutte le iniziative che facciamo durante l'anno; uno va via di qua con la voglia di approfondire, con la sensazione che essere cristiani non è affatto noioso, ma anzi ti riempie la vita, e che Gesù Cristo ha qualcosa da dirci.

Proprio don Marco Pozzi, cappellano del carcere di Padova, evidenziava in una diretta di questa settimana su TV 2000, l'importanza di “conoscere” Gesù; è possibile che avvenga in un'esperienza come questa (oltre all'entusiasmo di stare insieme e quella di incontrare il Papa)? 

Non credo sinceramente che qui ci sia qualcuno che corra dietro al Papa, anzi, oserei dire che questo è l'aspetto meno importante. Se si incontri Gesù è sempre difficile da dire; so che in una tappa di 24 km circa io e l'altro sacerdote che ci affiancava, don Paolino di Cuneo, abbiamo confessato dalle 16 alle 20 sempre camminando. Quello della confessione è un momento di svolta e di incontro, dove vengono fuori tante cose belle, tante lacrime. Sono momenti in cui i giovani si aprono e chiedono ascolto... Sono momenti di crisi personale che fanno bene.