È morto Rocco Bruno, il partigiano “Reno”, l’ultimo di Fossano. Aveva 100 anni - era nato il 25 agosto 1925 -, traguardo che aveva festeggiato alla casa di riposo Sant’Anna, dove era ospite da 3 anni. Appena diciottenne, aveva partecipato alla lotta di Liberazione nella III Divisione Alpi, guidata dal fossanese Piero Cosa, a Sant’Anna di Prea.
La Fedeltà ne aveva raccolto i ricordi cinque anni fa, quando era tornato su quelle montagne in compagnia della famiglia. La storica Giulia Arduino, nel libro “Che ne sarà di noi?”, gli ha dedicato un capitolo dal significativo titolo “Rocco, a tu per tu con la morte”.
Contadino, nato a Trinità, cresciuto a Fossano in Cascina Sacerdote, dove il papà Sebastiano faceva il mezzadro, scelse la clandestinità alla fine di gennaio del 1944. Verso la metà aprile, si trovò a dover fronteggiare, con sei solo compagni, un rastrellamento nella valle. “Fu il giorno più brutto della mia vita - racconta nel libro –. Io e sei compagni eravamo di guardia al posto di blocco, a Sant’Anna di Prea, il punto più pericoloso. Erano circa le due del pomeriggio quando un nostro compagno, che era in pattuglia più a valle, ci corse incontro urlando: «Sono arrivati i tedeschi, sono centinaia, moriremo tutti». Iniziammo a sentire i colpi di mortaio provenienti dalla parete opposta alla nostra. Eravamo completamente circondati: centinaia di tedeschi salivano da sotto, mentre altri arrivavano dall’altra parte della montagna. (…) “Io ero terrorizzato. Avevo solamente diciott’anni, non volevo morire. Non avevo ancora vissuto abbastanza. La mia mente però era offuscata dal panico, non sapevo come comportarmi. Non riuscivo nemmeno a piangere, ormai sembrava non esserci più nulla da fare. Il caposquadra ci calmò e prese la parola, tracciando un piano. Dovevamo infiltrarci tra il primo gruppo di tedeschi che sarebbe arrivato e il secondo, rimanendo nascosti nella loro scia”.
Per non essere scoperti, il movimento più sicuro era gattonare, non camminare. Reno era il primo della fila. “Dopo aver percorso qualche metro in salita, mi fermai. Davanti a me, un piccolo cespuglio sembrava l’unico riparo possibile. Mi voltai indietro, cercando di non far rumore. I miei compagni erano ormai lontani. Sollevai lentamente la testa, sperando di non essere visto, e ciò che vidi mi gelò il sangue: a meno di tre metri da me c’era un soldato tedesco, che guardava fisso verso il fondovalle. Abbassai immediatamente la testa. Iniziarono minuti di terrore. Rimasi accovacciato, senza fiato, incapace di muovermi, mentre il panico mi assaliva. Cercavo di trattenere le lacrime e i singhiozzi. Il cuore martellava nel petto, come se ogni battito fosse l’ultimo. Dopo un po’ di tempo sollevai nuovamente lo sguardo. Il soldato tedesco non c’era più. Si era allontanato senza che si accorgesse di me”.
Nell’anno che precedette la Liberazione, Rocco Bruno rischiò altre volte la vita, anche una volta tornato a casa, riuscendo per pura fortuna a scampare ai rastrellamenti nazisti e fascisti.
“Il 26 aprile 1945 uscii di casa. Un mio compagno mi consegnò delle armi. I tedeschi rimasti in città sparavano tra le vie desolate del centro. Poi, capendo che la guerra era ormai persa, si ritirarono, lasciando Fossano ai liberatori. Ci fu una grande festa. In via Roma tutti urlavano, ridevano, battevano le mani. C’erano anche delle madri che piangevano. Quanti ragazzi avevano dato la vita in questi venti mesi di lotta…”. Non immaginava che per lui, la guerra non era ancora finita. La colonna di tedeschi in ritirata, infatti, si accampò ancora nella sua cascina, passando una notta e rubando tutto il cibo che trovarono. Fortunatamente non scoprirono il nascondiglio che faceva da doppiofondo nella stalla, ma “la paura che provammo in quelle ore è indescrivibile. Nonostante Fossano fosse ormai libera, si sentivano legittimati a fare ogni sorta di violenza. Tre giorni dopo, come rappresaglia per l’uccisione di un tedesco, bruciarono un intero caseggiato a Genola, con dentro undici morti”.
Di queste sofferenze, Rocco Bruno è stato ricompensato con una vita lunga e serena. Dopo i due anni da militare – a Roma e in Friuli – tornò a vivere e a lavorare in campagna, poi, dopo il matrimonio con Vittoria (mancata nel 2016), in una compagnia telefonica di Torino e infine come cantoniere in Comune a Fossano raggiungendo la pensione nel 1988. Ha avuto quattro figli, Rosanna, Germana (con Luigi), Mario e Pierpaolo, e quattro nipoti, Letizia, Angela, Francesco e Anna. Per lungo tempo, è stato restio a raccontare i trascorsi di gioventù. Ha cominciato a farlo da anziano, avvertendo il dovere di passare il testimone della memoria. Tessera Anpi Fossano ad honorem, lo ricordiamo testimone partecipe alle commemorazioni del 25 aprile.
Autonomo fino a 97 anni, lucido fino all’ultimo, le sue condizioni di salute sono precipitate negli ultimi giorni, fino alla morte che è arrivata domenica 26 ottobre. I funerali vengono celebrati martedì 28 ottobre, alle 14,30, nella chiesa di San Filippo a Fossano.


























