La minaccia delle armi, la speranza della pace

È necessario tornare a sperare che la pace sia possibile. Lo ha invocato Papa Francesco nel suo ultimo discorso pubblico poco prima di morire, sottolineando come non ci possa essere pace senza un vero disarmo. Il suo successore, Papa Leone, nel suo primo saluto dalla loggia di San Pietro ha augurato una “pace disarmata e disarmante”. In entrambi i casi parole che sembrano cadere nel vuoto ora che tutto pare andare nella direzione opposta, in quella di una incessante corsa al riarmo, nella “speranza” (le virgolette sono d’obbligo perché la speranza è ben altra cosa) che solo con gli arsenali pieni e le nazioni armate fino ai denti ci siano i presupposti per la pace. Come se questa fosse garantita dalla “sicurezza” (altre virgolette d’obbligo) degli armamenti e del loro effetto deterrente, in una escalation che non è certo di pace, ma piuttosto di paura e terrore. Ma la pace è altra cosa. La pace non è vivere con le armi puntate in tutte le direzioni, sapendo di essere noi stessi nel mirino di un cannone. La pace non è l’equilibrio instabile di una bomba pronta ad esplodere. La pace è fatica, incontro, dialogo. La pace va preparata, custodita, vissuta. Mentre la guerra è soltanto morte e distruzione per tutti, e un affare per pochi. Domenica si tornerà a camminare nella Carovana della Pace. In un mondo martoriato da almeno 120 conflitti armati, ciò che succederà domenica sembra del tutto inutile. Forse invece è una delle poche cose sensate per tentare di seminare pace. Con fatica, ma con speranza.