Simonetta Lamberti oggi avrebbe 54 anni. È morta a 11, uccisa il 29 maggio 1982 a Cava de’ Tirreni in un attentato camorristico destinato a suo padre, il giudice Alfonso Lamberti, Procuratore di Sala Consilina.
Simonetta Lamberti è una delle protagoniste di “Assenti senza giustificazione”, il libro di Rosario Esposito La Rossa che racconta storie di bambini e ragazzi brutalmente assassinati dalle organizzazioni criminali e che ha ispirato i Folletti - i giovani della Corte dei folli - per l’omonimo spettacolo. All’ultima rappresentazione ai Battuti bianchi, in prima fila sedeva Angela Procaccini, la mamma di Simonetta Lamberti, donna di grande cultura, oggi dirigente scolastica, che in tutti questi anni ha fatto del dialogo costruttivo e educativo con i ragazzi uno dei suoi obiettivi.
Che effetto le ha fatto vedere lo spettacolo? Il libro lo conoscevo ma confesso di non essere ancora riuscita a leggerlo, anche se so bene che è un libro di pregio e di livello, importante come spunto di legalità, soprattutto per i giovani. Ma vedere quella rappresentazione mi ha lasciato senza parole. La traduzione in immagini, parole, musiche e anche fantasie è stata una sorpresa meravigliosa di cui sarò sempre riconoscente al regista, all’organizzatore e a tutti quelli che hanno collaborato.
Al termine dello spettacolo è salita sul palco. Che cosa ha voluto dire ai ragazzi? Viviamo un periodo molto particolare, molto difficile, non solo a livello internazionale con le vergogne a cui assistiamo e contro cui possiamo fare ben poco, ma anche a livello di singoli: oggi il mondo dei ragazzi è fagocitato in primis da queste mostruosità tecnologiche che annebbiano la mente e quindi anche il cuore. C’è bisogno di maggior contatto umano per loro e soprattutto di sollecitare le emozioni che sono il tessuto connettivo dell’umanità. Se si dà voce alla nostalgia, all’amore, al dolore, anche alla rabbia, si avvia il processo di catarsi che può liberare il cuore e le menti e dei ragazzi. Parlo di tutti, dai 10 ai 20-25 anni. La via delle emozioni è la strada giusta.
Angela Procaccini è una “partigiana dei ragazzi”… Questo titolo mi è stato dato dall’associazione Maddalena Cerasuolo (ricorda la partigiana che impedì la distruzione del ponte della Sanità al centro di Napoli da parte dei tedeschi) e per me - lo dico sempre - è il premio che più gradisco perché nella mia vita ho sempre pensato di dover essere un aiuto per i ragazzi, in particolare i più difficili o in difficoltà.
Quindi le dà anche una responsabilità? Abbiamo tutti noi adulti responsabilità molto grandi, siamo noi a determinare il futuro dei cittadini di domani. Lo scrittore Alessandro D’Avenia dice che noi abbiamo dimenticato la parola Cura. Io penso sia fondamentale. Soprattutto avere cura dei nostri ragazzi perché hanno ancora bisogno di tracciare la strada giusta.
Prima dell’attentato c’era stata qualche avvisaglia, che però non era bastata a mettere in piedi un sistema di scorta. A febbraio dell’82 io e Simonetta eravamo a Napoli, prendemmo il pullman per andare al Vomero. Alla fermata c’era un’auto in sosta con 4 persone a bordo. Quando salimmo sul pullman due di loro salirono e mi guardavano, additando la bambina e facendo il gesto di tagliare la gola. Io spaventatissima mi rivolsi all’autista: con coraggio bloccò il mezzo e si rivolse a questi due che a spallate aprirono le porte per scappare. Una volta scesi tutti i viaggiatori, mi accompagnò al primo posto di Polizia dove poi sporsi denuncia. Una cosa che non potrò mai dimenticare.
A maggio 1982 c’è stato l’attentato che le ha strappato via la sua Simonetta. I fatti l’hanno fatta diventare uno dei simboli della lotta alla camorra. Come vive questo? Senza volerlo, io, con la parola, la dolcezza, la comprensione, con l’Amore con la A maiuscola per il quale non si spera di ricevere molto in cambio, sono diventata uno sbarramento alla violenza e alla cattiveria dilagante e quindi anche un messaggio positivo contro la camorra. Essere ostativi o duri secondo me non ti fa ottenere un granché. Questa è una mia propensione naturale, data anche da una famiglia che ha saputo innestare in me i germi di bontà, perdono, comprensione. Anche la Camorra e la Mafia rimangono disorientate quando sentono parole di dolcezza, amore, perdono. Ricordo una frase di Maïti Girtanner, giovane resistente che fu torturata da un medico della Gestapo e che per questo non poté mai più suonare il pianoforte: lei lo perdonò dicendo “anche i carnefici hanno un’anima”. Ed è questo che bisogna tener presente: sono genitori, amici, fratelli e quindi possono capire quando si commette qualcosa di irresponsabile contro persone indifese. Questa è la mia linea guida. Non c’è nulla di costruito, è una cosa che mi viene spontaneamente, forse data dalla mia predisposizione, forse dall’educazione che ho ricevuto. Perciò ancora oggi non mi fermo davanti a niente, cerco di aiutare i ragazzi dell’Istituto penale minorile di Nisida o di Airola, o le donne del carcere femminile di Pozzuoli o di Benevento: semplicemente parlando raggiungo il loro cuore e li lascio spaesati e in lacrime. Questo mi fa pensare che sono diventata un “mezzo”, un medium per poter affrontare da un certo punto di vista la cattiveria e la malvagità, disorientandola.
Lei ha dichiarato più volte di aver perdonato Antonio Pignataro, l’uomo che si è auto-accusato di essere coinvolto nell’omicidio di Simonetta, pur non avendo lui materialmente sparato. Ma come si fa a perdonarlo? Io credo sia un po’ un miracolo per me. Io l’ho visto, l’ho guardato nell’udienza che si svolse a Salerno. Ho visto quest’uomo che era spento, morto, chiuso in una gabbia, sempre a testa bassa. Don Luigi Ciotti - presidente di Libera - era presente all’udienza: mi si avvicinò e mi disse che al termine Pignataro voleva chiedermi perdono se io fossi stata d’accordo. “Certo che lo sono”, risposi. In primo luogo quando ormai non c’era più nulla da fare per Simonetta, non credo che mi potesse arricchire di qualcosa non perdonare quell’uomo. Secondo: lo guardavo e avevo una tale compassione per quell’uomo che non riusciva a guardarmi né a parlarmi. E allora io gli presi la mano e gli dissi: “Non ti preoccupare, se questo mio perdono può fare del bene a te e a tuoi figli io sono felice di dartelo”. Lui si è inginocchiato. Questa è la compassione, soffrire insieme a chi soffre.
Non si è mai pentita di quel perdono? Vivere con il rancore, con l’odio, non mi riesce proprio. E questa è una fortuna. E quindi non mi pentirò mai di aver perdonato Pignataro.
Oggi Simonetta avrebbe 54 anni. Coma la immagina? Io non riesco a immaginare Simonetta adulta. Per me lei è rimasta lì, cristallizzata, in quella immagine di bambina esile, bionda, di carnagione chiara. Lei continuerà ad essere così nel tempo, semmai siamo noi creature normali che invece invecchieremo e diventeremo brutte, ma lei no.