Siamo disposti a pagare i prodotti agricoli per quel che valgono?

La parola d’ordine del movimento dei trattori in piazza (“No farmer, No food, No future”) può essere scontata, ma ci deve far riflettere: dobbiamo tornare a pensare all’agricoltura come al settore primario e dobbiamo porci il problema del ruolo degli agricoltori in una fase di grande trasformazione come quella attuale. L’agricoltura in pochi decenni ha subito una fortissima riduzione degli addetti che ha prodotto un forte cambiamento degli insediamenti e del modo di vivere; le trasformazioni introdotte hanno portato, insieme a molte migliorie, tanti aspetti negativi che paghiamo tutti: uno scadimento della qualità dei prodotti, monocoltura con conseguenze negative sul paesaggio e sull’ambiente, allevamenti intensivi, ecc… Tutti vorremmo un ritorno a un’agricoltura più “umana”, che rispetti il territorio, gli animali e le persone. Ma gli agricoltori devono rispondere alle logiche del mercato pena trovarsi con le aziende in difficoltà. Ci sono certo esempi virtuosi di aziende agricole che salvano i bilanci producendo qualità e rispettando l’ambiente, ma in genere lo fanno nell’ambito di filiere particolarmente valide (e queste, per mille motivi, sono pochissime) oppure con la vendita diretta che non è certo generalizzabile in una società che si basa sulla Grande distribuzione. E qui sta il punto: il prezzo dei prodotti agricoli. Un prodotto agricolo di qualità deve essere pagato per quel che vale. Tutti siamo disposti a pagare la tecnologia senza battere ciglio (dai telefonini ad ogni sorta di altro marchingegno), ma quando si tratta dei prodotti alimentari ci sembra impossibile dover spendere cifre a cui non eravamo abituati. Certo, quella del cibo è una spesa quotidiana. Si tratta però di cambiare cultura: mangiare senza abbuffarsi, scegliendo prodotti di qualità e pagandoli il giusto, sprecando meno. Con il vino ci siamo abituati.
I trattori in piazza, al netto di tutte le loro contraddizioni, sollevano queste questioni.
All’Europa chiedono che il Piano verde non si trasformi in uno strumento vessatorio, che pone vincoli insostenibili. La transizione ecologica non è una passeggiata, lo sappiamo: proprio per questo l’Ue deve essere disponibile al confronto, a tener conto delle difficoltà pratiche, a valutare soluzioni alternative.