Distrazioni natalizie, commento al vangelo della Natività

Messa del giorno di Natale

Natività (artista sconosciuto catalano, XII secolo)
Natività (artista sconosciuto catalano, XII secolo)

Andare a messa la notte di Natale oppure durante il giorno non è la stessa cosa, è vero. Senza però essere confuso tra quelli che - grazie a Dio o per fortuna - hanno goduto di ottima salute in questi mesi e oggi gridano: “La dittatura sanitaria ci ha tolto tutto, adesso pure la messa di mezzanotte!”, mi spiego. La Liturgia della mattina di Natale, a differenza della sera precedente, propone un brano di Vangelo che parla di tutto tranne che di Gesù bambino, Maria e Giuseppe, angeli e pastori, mangiatoia e alloggio. Non so se ce ne siamo mai accorti, ma la “scenografia” che nell’immaginario comune accompagna il Natale - come accadeva per la temperatura di Campobasso ai tempi di “Che tempo fa” del colonnello Bernacca - risulta “non pervenuta”. Perché viene dato spazio ad un testo che solo ad un certo punto, e con un linguaggio non proprio popolare attesta: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. Quando il parroco mi chiese di fare l’omelia nella messa del giorno di Natale pensai: “Che roba è mai questa? Dove sono finiti Gesù Bambino, la grotta, l’asino e il bue? Il bue forse, prima del Covid, finiva alla fiera di Carrù, ma tutti gli altri?”.

Le ragioni di questa scelta sono tante, e vorrei abbozzarne una. Il testo comincia dicendo: “In principio era il Verbo”, echeggiando le prime parole del libro della Genesi; nel Vangelo ci saremmo aspettati di ascoltare “All’inizio - del mondo, della storia - c’era il Verbo” cioè Gesù Cristo, e invece no. Straordinario! Perché “l’inizio” dice l’avvio di qualcosa che poi avrà una fine, cioè un punto di arrivo, una conclusione, un termine. Si inizia una corsa in bicicletta per raggiungere il traguardo, una dieta per rimettersi in forma, una scuola per ottenere il diploma. Scegliere di scrivere “in principio” invece, vuole mostrare cosa c’è alle spalle di ogni inizio e indicarne la radice più profonda. Cosa significa? La vita di ciascuno ha avuto inizio al momento del concepimento, ed è proseguita con tanti inizi: abbiamo iniziato a respirare da soli, a parlare, ad andare col triciclo; abbiamo iniziato ad andare a scuola, a costruire legami, a lavorare e tanto altro ancora. Il Vangelo del giorno di Natale è come se ci dicesse che, con Gesù Cristo, dentro ad ogni inizio “c’è un principio” cioè una parola di Dio che sarà buona compagna di vita, sempre. Anzi, già al momento della creazione del mondo è possibile rintracciare quella stessa parola, nelle stelle del cielo come nei fiori del campo, perché l’evangelista sta affermando con forza che “In principio era il Verbo”. Questa è la buona notizia che un brano difficile del Vangelo di Giovanni mostra il 25 dicembre: oggi veniamo a sapere di un Dio che, in Gesù Cristo, non ci abbandona ad un destino “virulento” ma accompagna dal di dentro le nostre amicizie e relazioni, regalandoci la Sua presenza. La “sbadataggine” dell’evangelista che si dimentica Betlemme, e le conseguenze della convivenza forzata con un virus dannato, disorientano; Natale, tuttavia, è il giorno adatto per apprezzare il regalo migliore.

Paolo Tassinari