Padre Giacomo da Balduina

Testimoni del Risorto 13.09.2017

C’è un cappuccino italiano, da quasi 70 anni tenuto in ostaggio a Lourdes, del cui rientro in patria neppure si può parlare. È il caso singolare di padre Giacomo da Balduina, di cui presto si dovrebbe celebrare la beatificazione, perché seppur dichiarato venerabile soltanto lo scorso giugno, già c’è un miracolo debitamente accertato e attribuito alla sua intercessione. Beniamino Filon nasce a Balduina, sulle sponde dell’Adige in provincia di Padova, il 2 agosto 1900; a 17 anni entra nel seminario dei Cappuccini di Rovigo e vi esce nel 1918 per il servizio militare, prestato per quattro anni a Milano, terminato il quale già il 28 settembre 1922, insieme al nuovo nome di fra Giacomo, veste l’abito francescano nel convento di Bassano del Grappa e riprendendo poi gli studi verso il sacerdozio. Fin qui nulla di speciale, se non fosse che su questa storia di ordinaria vocazione si affaccia lo spettro della malattia, diagnosticata nel 1925 come encefalite letargica, contratta molto probabilmente durante il servizio militare. Si tratta di un’infiammazione del cervello, specie del sistema frontale, che interessa l’attività motoria, verbale e ideativa. Fra Giacomo, incapace di rispondere agli stimoli della giovinezza e del vigore precedente ed estremamente debole, lamenta una progressiva mancanza di forze; non può più muoversi ed esprimersi come i suoi coetanei, cammina a piccoli passi e parla farfugliando. In lui rimangono integre soltanto le facoltà di comprensione, di pensiero e di giudizio, cioè quelle di intendere e di volere. E sono precisamente queste a consentirgli di proseguire i suoi studi e di accedere comunque all’ordinazione, avvenuta a Venezia il 21 luglio 1929. Non si può certo pretendere che fra Giacomo si rassegni più facilmente di altri, per il semplice fatto che è religioso ed anche prete, al suo decadimento fisico. Deve infatti controllare, come chiunque altro, i moti di ribellione interna e le ricorrenti fasi di depressione e malinconia, peraltro insite nella sua malattia; casomai, la fede lo aiuta ad emergere e ad impedirne il tracollo, affinando il suo carattere e conferendogli inedite sfumature di misericordia, tenerezza e comprensione. In previsione che nient’altro possa fare che confessare, i superiori gli fanno frequentare un corso specifico in Slovenia e poi lo destinano al convento di Udine, dove si rinchiude nel confessionale a disposizione dei penitenti. “La diagnosi è infausta, perché la malattia peggiorerà progressivamente e fatalmente, mettendo il paziente fuori combattimento fra qualche anno”, sentenzia nel 1932 un indiscusso specialista. Sarà che anche i luminari si possono sbagliare o, più probabilmente, che il farmaco prescritto ritarda in modo insperato l’avanzare della malattia, fatto sta che egli continua, seppur dolorosamente, a confessare, sempre sereno, semplice, sorridente con tutti, molto buono, adempiendo il suo ministero con zelo ammirabile, senza risparmiarsi le poche energie. Subito si sparge la voce che a Udine c’è il “confessore santo” e i penitenti aumentano, soprattutto i sacerdoti udinesi e del circondario. “Mi sono offerto vittima a Dio per la santificazione dei sacerdoti. Dio ha accettato l’offerta e ha disposto che questa malattia fosse lo strumento più adatto al raggiungimento del mio ideale”, confida ad un seminarista. La sua intensa devozione mariana lo porta in pellegrinaggio due volte a Loreto e nel 1948 anche a Lourdes: vi arriva nel pomeriggio del 21 luglio, stremato nel fisico, dopo 35 ore di viaggio in treno, in preda a febbre altissima per quello che sembra un più che giustificato stress da viaggio. Le sue condizioni peggiorano però in modo rapido con l’avvicinarsi della sera e spira prima di mezzanotte “canterellando il Magnificat”. Sepolto nel cimitero parrocchiale di Lourdes, in rue de Langelle, a poca distanza dalla Grotta, in modo inaspettato e sorprendente la sua tomba diventa una delle mete dei pellegrini, che vengono qui a depositare, insieme ai fiori, anche un’infinità di fogliettini arrotolati, con le loro richieste di preghiere, mentre il postino va regolarmente a portarvi quelle che arrivano per lettera da parte di chi proprio non può andarvi di persona. La tomba che i frati gli hanno preparato nella cappella del loro convento a Udine sembra destinata a rimanere vuota, perché a Lourdes tutti si sono opposti fermamente alla sua traslazione: il frate invalido, morto là casualmente, è destinato a rimanervi per sempre, come in dolce e affettuoso ostaggio dei pellegrini della “città di Maria”.