Primo missionario dell'Istituto della Consolata a recarsi in Mongolia, padre Giorgio Marengo è stato nominato Prefetto apostolico di Ulaan Baatar e, nello stesso tempo, vescovo, scelto “per aver svolto un'intensa attività pastorale in quel luogo”. Un “incarico di grande responsabilità “che la Chiesa gli ha affidato sabato 8 agosto nella persona e nelle parole di Papa Francesco, lette da Padre Francesco Peyron dei missionari della Consolata di Fossano, all'inizio della celebrazione di ordinazione episcopale. Un evento che, per le restrizioni dettate dalla pandemia del Covid 19, non si è potuto tenere a Ulaan Baatar, come padre Marengo avrebbe desiderato, ma nel Santuario della Consolata a Torino.
“Avevo paura che sarebbe scappato”, ha scherzato nella sua omelia il card. Luis Tagle, Prefetto per la Congregazione dell'evangelizzazione dei popoli, venuto da Roma per presiedere all'eucarestia di ordinazione, concelebrata con il card. Severino Poletto e mons. Cesare Nosiglia (rispettivamente arcivescovo emerito ed attuale di Torino), oltre a molti altri vescovi e sacerdoti piemontesi. “Chi non si tirerebbe indietro di fronte al peso e alle incombenze del ministero episcopale? Ancora oggi a me fanno girare la testa!”, ha continuato Tagle. Però, scherzi a parte, il cardinale ha fatto poi emergere nell'omelia alcuni aspetti fondamentali che tratteggiano la ministerialità di un vescovo: essere “maestro di dottrina, sacerdote del sacro culto, ministro del governo della Chiesa”, promuovendo “la santità del clero, dei religiosi e dei laici, incoraggiando varie forme di apostolato, con un particolare interessamento per i migranti”. Queste ed altre caratteristiche il card. Tagle ha augurato di vivere in pienezza a padre Marengo, all'inizio di questo suo nuovo percorso pastorale, cercando di essere sempre “custode semplice” nell'invisibilità. E, riprendendo il motto episcopale “Guardate a Lui e sarete raggianti” scelto dal neovescovo, lo ha ancora esortato a lasciare che tutto, nella sua vita e nel suo ministero, “sussurri Gesù alla gente, ai poveri, ai sofferenti, alla steppa e agli eterni cieli blu della Mongolia!”. La celebrazione è continuata quindi con diversi segni propri del rito in svolgimento; l'invocazione allo Spirito Santo, l'interrogazione del neo vescovo sulle intenzioni dell'esercizio del proprio ministero, la richiesta di intercessione dei santi, l'imposizione delle mani da parte del celebrante e di tutti i concelebranti, l'unzione del capo come segno di fecondità nel ministero, l'affidamento del vangelo come mandato di annunzio della Parola di Dio, e quindi dell'anello segno della Chiesa sposa di Cristo, del mitra (il copricapo), quale segno di santità ed incorruttibile corona di gloria, il pastorale (il bastone) simbolo della cura dei fedeli a lui affidatigli. Al termine un lungo applauso ed un abbraccio di pace con i celebranti hanno salutato l'ingresso e l'inizio del ministero episcopale di Giorgio Marengo.
“Quando la luce di Dio ci avvolge tanto, rimaniamo quasi turbati, come Pietro Giacomo e Giovanni su quel monte della trasfigurazione”; con queste sue parole il diretto interessato all'evento ha espresso tutto il suo stato d'animo. “Oggi per me è un po' così”. Avvolto dall'affetto della mamma e della sorella, di tutti gli altri missionari della Consolata e amici vari (tra cui gli scout di cui ha fatto parte), del ricordo del papà defunto, ha citato le parole di chi lo ha preceduto come vescovo, mons. Wenceslao Padilla, che il giorno prima di morire improvvisamente d'infarto gli disse: “Quando me ne sarò andato prenditi cura della missione”. Parole che adesso risuonano come una profezia verso una Chiesa che è chiamato a governare e che, seppure è minuscola (1.300 battezzati), è viva, e non vede l'ora che il suo pastore ritorni per continuare il cammino pastorale. Una chiesa che era comunque “presente” a Torino grazie al collegamento virtuale (reso possibile su diversi siti internet ed in Piemonte trasmesso anche da Telecupole); una Chiesa a cui il neovescovo si è rivolto in lingua mongola per un saluto e un canto mariano finale, come gesto di affidamento davanti alla statua della Consolata.