Con don Stefano, dove osano le aquile (2ª parte)

don Stefano Gerbaudo

Ordinato prete il 3 maggio 1935, dopo qualche mese don Stefano Gerbaudo viene mandato a Villafalletto, dove la gente commenta “E’ sempre disponibile per tutti”, “Si fa in quattro per fare un piacere a qualcuno”. “I giovani fanno la fila per andare a confessarsi da lui”. “Se lo vuoi trovare devi cercarlo in chiesa, inginocchiato a pregare”. Altrimenti lo trovi in bicicletta, a cercare i giovani di casa in casa per invitarli alle riunioni e alle conferenze. La gente di Villafalletto è entusiasta del giovane prete, il vescovo pure. Anzi, così tanto entusiasta che quattro anni dopo…lo trasferisce. Nel 1939, infatti, ha bisogno di un prete, talmente felice di essere prete, talmente entusiasta della sua vocazione, da riuscire ad entusiasmare e modellare bene quelli che si stanno preparando ad essere preti, cioè i ragazzi del seminario di Fossano. Cercando un prete così, gli viene spontaneo pensare a don Stefano. “E’ una perla preziosa, a Villafalletto gli vogliono tanto bene. Devo metterlo in un posto in cui possa fare ancora meglio”. E lo manda in seminario, a fare il padre spirituale di quelli che saranno i preti di domani. Dopo qualche anno, pensa ancora a lui quando deve nominare l’Assistente diocesano delle Giovani di Azione Cattolica. Prete dei giovani e prete per i giovani: don Stefano, che ha iniziato appena a volare, si trova a dover insegnare ad altri a prendere il volo, ad usare le ali senza paura, come ha fatto lui che dai prati di Mellea ha preso il volo, anche se nessuno avrebbe creduto che ne sarebbe stato capace.

La sua parola d’ordine, rivolta ai giovani di quel tempo, è duc in altum, una frase latina che significa “prendi il largo, permetti alla tua barca di navigare” per raggiungere l’altra sponda. È l’invito di Gesù agli apostoli, che essendo pescatori di mestiere erano pratici di barche, di onde, di vele e di pesci. Per chi invece di queste cose pratico non è, “duc in altum” vuol poi dire la stessa cosa di “vola in alto, più in alto che puoi”. Per questo don Stefano insegna ai suoi giovani a puntare in alto, proprio come fa l’aquila, “che vola più in alto di tutti e riesce a fissare il sole senza che i suoi occhi ne soffrano”.

Dato che è un po’ difficile immaginare un allenatore di calcio che non abbia mai toccato un pallone o un istruttore di volo che non abbia mai volato, anche don Stefano decide che prima di insegnare agli altri deve allenare se stesso. Prima di tutto si allena nella preghiera. “Era un sacerdote di molta preghiera, passava anche notti intere inginocchiato davanti al tabernacolo”, ricorda una suora di Fossano. Un’altra suora ricorda invece “l’impressione che suscitava in me quando lo vedevo pregare: parlava con il Signore e glielo si leggeva in faccia”. I ragazzi del seminario lo vedono pregare anche un’ora di fila, al mattino prestissimo, prima di celebrare messa, nella cappella che allora non era riscaldata e che in inverno sembrava una cella frigorifera; i preti che gli vivono accanto lo vedono, ad ore fisse, puntualissimo e fedelissimo, inginocchiato in cappella e si domandano: “Come farà poi a fare tutto il resto?” Sembra perda tempo; lui, invece, si ricarica. Per questo, poi, riesce ad insegnare agli altri: le anime si salvano con le ginocchia: la preghiera è sostegno indispensabile, perché senza Gesù non possiamo far nulla.Dopo aver pregato può correre: da un malato, ad una riunione, ad un incontro, da una persona che vuole confessarsi. Arriva puntualmente a tutti e riesce a fare tutto. Ma prima prega. Per arrivare a questo si allena molto: segna meticolosamente sul suo taccuino quando deve pregare, l’ora in cui deve andare in cappella, anche la durata dei suoi momenti di preghiera. Poi a questa “tabella di marcia” cerca di essere il più fedele possibile. Proprio come un campione, che non diventa tale solo perché lo vuole o perché sogna di esserlo, ma soprattutto perché ha un piano di allenamento. Che rispetta sempre: anche se piove e fa freddo, anche se è stanco, anche se non ne avrebbe voglia. Ad ogni costo, come fa don Stefano. Si allena anche nella generosità. “Il suo argomento sempre ricorrente era “Donarsi”. Donarsi a Dio e ai fratelli, donarsi a tutti e donare tutto, senza riserve; e trovava mille modi di dire, senza ripetersi, per spiegare questo concetto, che sulla sua bocca prendeva un valore, un significato tutto particolare, perché si sentiva che attingeva il suo dire dal suo vissuto quotidiano”, ricorda una ragazza di allora.

(2 - continua)