Nel 2020 il numero dei morti a Fossano aumenta del 27%

I dati dell'Anagrafe aiutano a far luce sull'anno del Covid: l'impennata globale dei decessi - da 266 a 339 - si deve soprattutto al picco di alcuni mesi

Funerale La Fedeltà
Foto di repertorio

Nel 2020 il numero di morti a Fossano è molto elevato, almeno se confrontato con quello degli anni precedenti, a partire dal 2015. Ovviamente la sola città degli Acaja non può essere considerata la prova - o l’anomalia - di un trend che dev’essere valutato a livello nazionale (al momento non tutti i dati demografici sono stati elaborati dall’Istat), né si può dire se i decessi siano da attribuire esclusivamente e in modo diretto al Coronavirus, e non anche alla situazione particolare in cui, sempre a causa della pandemia, è precipitato il Sistema sanitario del Paese (come suggerisce ad esempio la denuncia della Federazione degli oncologi, cardiologi e ematologi che nei giorni di Natale ha messo in guardia sui gravi effetti dovuti alla chiusura di intere Terapie intensive cardiologiche convertite in Terapie intensive per pazienti colpiti dal Covid). Il dato assoluto, che l’Anagrafe locale ha messo a disposizione de “la Fedeltà”, ha però un valore oggettivo, indiscutibile: almeno qui da noi, i “conti” degli ultimi 12 mesi non tornano.

Nel 2015 Fossano disse addio a 288 residenti, mentre l’anno successivo ne morirono 271; nel 2017 i decessi furono 279, nei dodici mesi successivi si scese a 234 e infine nel 2019 se ne contarono 261. Come si può osservare, le cifre sono simili, con l’eccezione del 2018: a confronto con questi numeri, il “salto” del 2020 è evidente. Nell’anno del virus, il numero dei fossanesi deceduti è infatti 339, il 27,2% in più della media calcolata per gli anni che vanno appunto dal 2015 al 2019; di questi 339, almeno 38 - secondo i dati diffusi - erano positivi al virus (8 durante la prima ondata e gli altri durante la seconda).

“La Fedeltà” aveva già segnalato ai suoi lettori, lo scorso dicembre, i “sintomi” di un anno che faceva registrare numeri strani. “È ovvio, è l’anno del Covid”, obietterà qualcuno: è vero, ma perché si possano fare osservazioni non “campate per aria” servono dati precisi. Ebbene sul numero del 9 dicembre il nostro settimanale segnalava un “picco di morti a novembre”, “mese peggiore degli ultimi 5 anni” appunto per il numero dei deceduti, mentre il 23 dicembre denunciava come nei primi 21 giorni di quel mese fossero stati celebrati 50 funerali nelle parrocchie cittadine.

Che cos’è successo, più nel dettaglio? Uno sguardo ai dati dell’Anagrafe già disponibili mostra come l’anomalia del “movimento naturale” registrato nel 2020 sia dovuta soprattutto ad alcuni mesi: in altre parole, è soprattutto l’alto numero di decessi raggiunto in alcuni periodi dell’anno a far sì che il 2020 si presenti, globalmente, come un “annus horribilis”. Ci riferiamo ad aprile (quando morirono 39 residenti), novembre (41) e dicembre (64).

Anche in questo caso, è illuminante - e, a dire il vero, fa rabbrividire soprattutto se si guardano le percentuali - un confronto con gli anni precedenti. Cominciamo con aprile: il numero di morti per questo mese nel 2015 è di 19, nel 2016 sempre di 19, nel 2017 di 15, nel 2018 di 17, nel 2019 di 14: nel 2020 il dato balza, come dicevamo, a 39 (+ 132% rispetto alla media dei cinque anni precedenti). Analogamente per quanto riguarda novembre, a fronte dei 41 decessi del 2020, se ne contano 18 nel 2015, 29 nel 2016, 27 nel 2017, 15 nel 2018 e 16 nel 2019 (l’aumento  rispetto alla media è del 95,2%). Consideriamo infine dicembre: nel 2015 i morti furono 23, 25 nel 2016, 22 nel 2017, 11 nel 2018, 21 nel 2019 contro i ben 64 del 2020 (+ 214%).

Com’è noto, l’aprile dello scorso anno si colloca nel primo lockdown, quello con cui l’Italia ha cercato di arginare l’emergenza sanitaria dovendosi misurare con un virus di cui si sapeva poco e potendo contare su un Piano pandemico che, come si sarebbe scoperto in seguito, era obsoleto; quanto ai mesi di novembre e dicembre, si tratta del periodo di tempo che coincide più o meno con la cosiddetta seconda ondata di Coronavirus. È inoltre utile osservare che se si raffrontano, sempre per lo stesso periodo di tempo dal 2015 al 2020, i dati raccolti per i soli mesi estivi, non si nota alcun picco di decessi nell’anno del Coronavirus: la bella stagione ha infatti aiutato a far sì che il Covid fosse meno minaccioso, benché - va detto - proprio la minor attenzione ad evitare il contagio manifestata durante i mesi caldi abbia favorito la formazione di nuovi focolai, almeno secondo alcuni esperti.

Abbiamo sottolineato l’importanza dei numeri perché si possano fare delle “vere” considerazioni, ma siamo anche consapevoli che i numeri hanno bisogno di essere interpretati. Oltre alla questione sollevata dai cardiologi a cui abbiamo fatto cenno (ma anche il nostro giornale nei mesi scorsi denunciò il pericoloso “blocco” di molte visite mediche), bisogna citare almeno l’ormai noto dibattito sulle morti “per il Covid” o “con il Covid”. Temi, questi, che meritano di essere approfonditi, a livello nazionale: ci torneremo non appena l’Istat aggiornerà la mortalità complessiva (cioè per tutte le cause) in Italia con i dati di dicembre. A fronte di ciò possiamo dire di avere la prova, anche dai dati “nudi e crudi”, di aver vissuto, nostro malgrado, un tempo decisamente anomalo della nostra storia recente, un capitolo triste che speriamo di poter concludere rapidamente.