Gian Franco Canavesio una vita da protagonista nel calcio amatoriale fossanese

Ci racconta il suo “viaggio” iniziato nel 1975

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Non capita spesso di riuscire a trasformare la propria passione e il lavoro di tutti i giorni in un’unica realtà, da far crescere giorno dopo giorno con sacrificio e impegno. Eppure, nel caso di Gian Franco Canavesio qualcosa di simile è accaduto. O meglio, “Franco”, così come lo conoscono tutti, è stato per una vita intera “il carrozziere”, molto noto in quel di Fossano, ma anche e soprattutto il presidente e il primo finanziatore di quella squadra che ha scritto pagine uniche nella storia del calcio amatoriale, portando proprio il suo nome: la Carrozzeria Franco. Oggi, che di anni ne ha più di settanta e fa il “pensionato a tempo pieno”, lo abbiamo raggiunto, per far riaffiorare i ricordi di quarant’anni di pallone locale.

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Tutto ebbe inizio nel 1975, anno del tuo trasferimento a Fossano. Come è iniziato il tuo “viaggio” nel calcio della città?
È iniziato come tutti i percorsi di un figlio adottivo che ha tanta voglia di essere accolto nella sua nuova famiglia. Da subito mi cimentai in tornei amatoriali, ancora come calciatore, prima di appendere gli scarpini al chiodo e diventare dirigente del settore giovanile della Fossanese, per cui seguivo l’Under 21, a fine anni Settanta.
Quale ricordo hai di quella tua prima esperienza?
Sicuramente positivo. Il presidente era Barbero e io collaboravo con Pino Blua e Fredo Ballario, in una società di grande livello. Fu un primo approccio molto formativo, che mi servì negli anni successivi nel calcio amatoriale.
Dopo quel primo assaggio, appunto, nacque l’idea della Carrozzeria Franco. Quali furono le ragioni di quella scelta?
In primis, ovviamente, la passione. Per me quella società divenne un qualcosa per cui impegnarsi nel tempo libero e un’occasione per stare insieme a persone che con il tempo divennero veri amici. Poi, sono onesto, anche la voglia di far conoscere la mia attività. Alcuni, negli anni, si sono chiesti che senso avesse spendere dei soldi per un campionato amatoriale. Eppure io ci ho sempre creduto, perché volevo che il nome della mia carrozzeria viaggiasse con i successi della mia squadra. Una scelta che ho applicato anche altrove, sponsorizzando, ad esempio, alcuni tornei di bocce organizzati dal Forti Sani.
26 anni nel calcio amatoriale, tra Acsi e Csi. Qualche successo è arrivato?
Eccome! Penso di aver vinto quattro o cinque campionati, oltre a un campionato nel calcio a 5, dove riuscimmo a raggiungere la fase nazionale. Il nostro anno d’oro nel calcio a 11 fu il 1994: vincemmo la fase provinciale e quella regionale, piazzandoci nelle prime posizioni anche a livello nazionale.
Forse oggi suona quasi strano, ma il calcio amatoriale di allora era davvero poco “amatoriale”…
Assolutamente. In quei cinque lustri nella Carrozzeria Franco sono passati circa 500 ragazzi e di questi tanti avevano qualità importanti, che avrebbero permesso loro di giocare anche in Promozione o Eccellenza. Perché sceglievano il nostro campionato? Perché il calcio era vissuto solo come passione: da noi si giocava al sabato, ci si allenava solo una volta a settimana e, soprattutto, ci si divertiva.
Cosa ti hanno lasciato quegli anni?
Tanto, soprattutto dal punto di vista umano. Di recente ho incontrato Marco Giordano (attuale preparatore della campionessa di sci Marta Bassino, ndr), che è stato un mio giocatore e che mi ha ricordato come per loro io fossi un esempio. Sentirselo dire a così tanti anni di distanza è davvero bello. Inoltre, la mia avventura in “quel” calcio mi ha confermato come con la passione si possa fare tanto. È una convinzione che vale per il calcio, ma anche per il lavoro: solo se ami quello che fai puoi ottenere dei risultati.
Negli anni Novanta, poi, arrivò anche una seconda chiamata della Fossanese…
Mi volle l’allora presidente Guido Viglietta. Si era infatti deciso di “scorporare” il settore giovanile dalla prima squadra, creando due realtà comunicanti ma distinte. Io divenni presidente del vivaio e lavorai, insieme ai miei collaboratori, per farlo crescere. I risultati arrivarono: vincemmo qualche campionato regionale e, soprattutto, creammo una realtà stabile.
Fu la penultima tappa, prima della più recente esperienza al Salice. Un bilancio di quest’ultima?
Certamente positivo, come tutte le mie avventure nel pallone. Accettai perché volevo una nuova opportunità nel settore giovanile dopo aver smesso con il lavoro. Il progetto, avviato nel 2016, era interessante e credo che il lavoro fatto da tutti noi sia stato ottimo: abbiamo trovato degli interlocutori disponibili e appassionati e abbiamo lavorato per la crescita del settore giovanile, che resta il cuore pulsante di quella società. Nell’ultimo anno, qualche distanza di vedute mi ha spinto a farmi da parte, ma resto un grande tifoso del Salice e mi auguro che possa migliorare ancora.
Per chiudere, può essere il calcio locale uno dei punti di ripartenza dopo la fine di questa pandemia?
Io dico di sì, perché giocare per divertirsi è la cosa più bella che ci sia. In questi cinquant’anni ho intessuto rapporti che vanno oltre la semplice passione sportiva, e che auguro a tutti di poter vivere. Purtroppo, di recente ho dovuto piangere la morte prematura di alcuni dirigenti, giocatori e allenatori con cui avevo percorso una parte di questo viaggio. Loro, però, resteranno sempre nel mio cuore.
c.c.

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