Alitalia, né svendita né salvataggio

Coi suoi 13.200 lavoratori, 569 milioni di perdite nette, un aumento di capitale di 250 milioni per evitare il fallimento da effettuare prima dell’accordo con la compagnia degli Emirati Arabi, Etihad Airways che entrerebbe col 49% del capitale, la nostra ex “compagnia di bandiera” si trova davanti a un bivio

Si avvicina il giorno del giudizio per Alitalia-Cai. Coi suoi 13.200 lavoratori, 569 milioni di perdite nette, un aumento di capitale di 250 milioni per evitare il fallimento da effettuare prima dell’accordo con la compagnia degli Emirati Arabi, Etihad Airways che entrerebbe col 49% del capitale, la nostra ex “compagnia di bandiera” si trova davanti a un bivio: o sanare il pregresso, cancellare i debiti, ridurre il costo del lavoro e il numero dei dipendenti, almeno di un migliaio di unità, quindi ripartire con una nuova società. Oppure - la seconda ipotesi - insistere da parte sindacale nel non voler fare sacrifici sugli stipendi e nemmeno accettando alcuni “tagli” dolorosi, ma necessari, al personale per non far fallire la trattativa; impedire da parte degli azionisti di arrivare a una soluzione di compromesso che consenta al nuovo socio in arrivo di entrare con risorse fresche per farne finalmente un’azienda moderna ed efficiente.

Questo il bivio per il quale, nei due giorni di sabato 26 e domenica 27 luglio, i vari protagonisti giocheranno le loro ultime residue cartucce. In mezzo c’è una vicenda-simbolo per il Paese, alle prese con dolorosi processi di ristrutturazione e l’abbandono definitivo di un modo di fare che il mondo non capisce e non accetta più.

Quella dell’Alitalia-Cai, che avrebbe dovuto essere salvata dai cosiddetti “capitani coraggiosi”, non è a questo punto una svendita, né un salvataggio. È qualcosa di diverso, di nuovo. Siamo di fronte a un passaggio d’epoca, col quale si dovrebbe chiudere definitivamente col passato delle partecipazioni statali, in perenne perdita ripianata coi soldi pubblici. Siamo anche di fronte alla presa d’atto che l’economia globalizzata ha bisogno di protagonisti pronti a competere secondo le regole del mercato mondiale, dove si afferma e vince chi ha carte da giocare moderne, efficienti, capaci di fare utili senza strangolare la concorrenza e senza sostegni pubblici indebiti e non più tollerati, se non nei Paesi dittatoriali.

Da come Alitalia uscirà - se uscirà - da questo momento per essa topico capiremo tante cose: se il nostro Governo intende fare sul serio, scrollandosi definitivamente i malvezzi dell’economia sussidiata che hanno contribuito a produrre un debito pubblico gigantesco. Capiremo se gli imprenditori vorranno rischiare la faccia su un mercato difficile ma che alla fine premia i “coraggiosi” per davvero. Capiremo se i sindacati sapranno entrare finalmente nell’era del mercato competitivo e non attardarsi in quello dei veti reciproci e dei muri paralizzanti.

Nei prossimi due-tre giorni, insomma, c’è in gioco non la vanagloria di qualche protagonista, ma un patrimonio umano e professionale comunque di alto livello. E anche la possibilità che il lavoro di Alitalia possa assicurare reddito, utili e - perché no? - buona fama per la nostra Italia. Che ne ha davvero bisogno.