Don Fiorenzo, un piede a Fossano, l’altro in paradiso (2ª parte)

Roggia Fiorenzo

Tra i confratelli c’è chi sostiene che don Fiorenzo Roggia abbia il dono della bilocazione, perché lo si trova in rapida successione, tanto da sembrare in contemporanea, “tra i giovani in cortile e in chiesa nel confessionale”. “Tra i giovani non mancava mai”, raccontano, ma passava anche molto tempo in chiesa dove facilmente era rintracciabile”. “La sua estate oratoriana”, aggiunge un altro dei ragazzi di allora, “era meravigliosa, con le piccole e grandi olimpiadi, con i trattenimenti più svariati e con le scorribande lungo il fiume a giocare a tattica con i piccoli insegnamenti derivati dalla natura, dalle piante e dai fiori, e poi con un ritorno a casa un po’ stanchi ma con la soddisfazione di tutti, perché lui era riuscito a far vivere una giornata in un’atmosfera “pulita”. Un vero e proprio precursore dell’attuale “Estate ragazzi”, addolcite dai famosi “sucai” di don Roggia, distribuiti come premio ai vincitori dei suoi quiz, e rinfrescate dai gelati e ghiaccioli fatti proprio con le sue mani, con lo stesso amore di un padre verso i propri figli. Dei giorni di festa è rimasto impresso il ricordo del “cinema domenicale a 50 lire o gratuito agli ‘assistenti’: era la sua occasione per incontrare quei ragazzi che non possedevano le 600 o le 1.000 lire per andare nei cinema ‘commerciali’; tra il primo e il secondo tempo 5 minuti di preghiera e coloro che svicolavano fuori dalla sala per evitare le orazioni si perdevano la prosecuzione del film perché don Roggia richiudeva le porte a chiave”.

È però proprio di questi ultimi che deve prendersi cura un prete, e soprattutto un salesiano, così le testimonianze concordano su “quante volte finito l’orario dell’oratorio andava di persona dai genitori di quei ragazzi che aveva rimproverato nel pomeriggio per qualche marachella, non per infierire ma per capire perché quei ragazzi si comportassero in quel modo, e quando si accorgeva che alle spalle dei ragazzi vi erano delle famiglie in condizioni morali o economiche disagiate, si metteva a proteggerli per aiutarli a superare le difficoltà che si presentavano loro”. Forse il piccolo prete si specchia proprio in questi, dall’esuberanza iperattiva, rivedendo nella loro un qualcosa della sua troppo vivace prima infanzia. E come già, all’epoca, aveva fatto mamma Giovanna, non gli resta che consigliare anche a questi la “terapia mariana” che su di lui aveva avuto meravigliosi effetti. “Pregate la Madonna e non ve ne pentirete mai!!”, consiglia così a tutti e stando a quanto si racconta sembra proprio che, nel tempo, su qualcuno gli effetti non siano mancati. Non bisogna infatti dimenticare che se la devozione alla Madonna è iscritta nel dna di ogni buon salesiano, particolarmente lo è nel cuore eternamente fanciullo e sempre limpido di don Roggia. Ne danno testimonianza i suoi bigliettini, con le più disparate invocazioni e raccomandazioni, che i confratelli trovano ai piedi dell’Ausiliatrice che testimoniano il “filo diretto” instaurato con Lei, come pure “i suoi quadretti sacri, fatti con legnetti di ghiacciolo e carta di uovo di cioccolato, messi in molti punti della città, ritrovo soprattutto durante il mese di maggio di famiglie per la recita del rosario”.

I Salesiani ricordano che “persino attaccato al pino davanti alla stazione ferroviaria c’era una immagine della Madonna, che con il passare degli anni e con il crescere del tronco era salita in alto e quando qualcuno aveva espresso il desiderio di rimuoverla, c’è stata una levata di scudi per salvaguardarla, per il semplice motivo che a metterla era stato don Roggia”. Perché la gente, in genere, ha fiuto buono e sa distinguere “a naso” dove passano i santi. E per i fossanesi don Roggia è sicuramente da includere nel numero, per cui anche una povera immagine mariana di nessun valore, costruita con stecchi di ghiaccioli, se fatta con le sue mani, ha valore di una reliquia. Sembra poi che la Madonna stessa, che già l’aveva preso a benvolere per via della famosa raccomandazione di mamma, non abbia potuto fare a meno di lasciarsi conquistare dal piccolo prete che insegnava ai fossanesi ad amarla e pertanto si sia sentita in dovere (perdoni la Madonna il troppo disinvolto nostro modo di esprimerci) di accompagnare don Fiorenzo fino all’ultimo, dato che quanti lo hanno avvicinato negli ultimi tempi lo ricordano “sempre con la corona del rosario in mano”.

(2-continua)