Cristiani, ebrei e musulmani in memoria delle vittime di Bruxelles

Veglia di preghiera in memoria delle vittime. L'arcivescovo de Kesel: "Nessuna violenza in nome di Dio può essere tollerata"

Silenzio e preghiera. Così Bruxelles reagisce di fronte all’orrore seminato il 22 marzo dai terroristi nel doppio attentato all’aeroporto di Zaventem e al cuore stesso della città. “Fai di noi uno strumento della tua pace”. Sono le parole di San Francesco di Assisi ad accompagnare lunedì 28 marzo a Bruxelles la Veglia di preghiera in memoria delle vittime. A promuoverla nella cattedrale des Saints-Michel et Gudule sono i responsabili delle Chiese cristiane in Belgio. Ma a fianco a loro per dire insieme un no deciso e fermo al terrore compiuto in nome di Dio, ci sono i rappresentanti delle comunità ebraica e musulmana della città. Tra i banchi c’è anche Salah Echallaoui, presidente dell’Esecutivo dei musulmani in Belgio (EMB). Segno della volontà di tutti di ridire oggi con chiarezza che “il terrore non ha alcuna religione e nazionalità”.

Nonostante le severe misure di sicurezza, la cattedrale è gremita di gente. Sono presenti rappresentanti del Governo federale, del Parlamento e del corpo diplomatico tra cui i nunzi apostolici monsignor Alain Lebeaupin, rappresentante della Santa Sede presso l’Unione Europea a Bruxelles,  e monsignor Giacinto Berloco, nunzio apostolico in Belgio. Il Paese vuole reagire ma vuole farlo coeso e solidale. La veglia ha inizio con una processione nella navata principale della cattedrale. A sfilare ci sono  anche rappresentanti delle forze dell’ordine, vigili del fuoco e polizia, i cappellani dell’aeroporto di Zaventem. Sull’altare vengono deposte 300 candele  accese. “Il nostro dolore è grande”, ha detto all’inizio della celebrazione monsignor Jozef de Kesel. “Se siamo qui riuniti è perché vogliamo essere vicini alle vittime, vicini a coloro che hanno perso la vita, vicini alle loro famiglie e a tutti coloro che sono oggi in lutto. Siamo qui per pregare”.

L’arcivescovo pronuncia parole importanti e forti. “Nessuna violenza in nome di Dio può essere tollerata. Dio non può in nessuno modo essere strumentalizzato da nessuno”. E ancora: “E’ evidente che questi attacchi criminali vogliono colpire il fondamento stesso della nostra società. È un attacco a ciò che di più prezioso hanno le nostre società moderne, e cioè la libertà, il rispetto per la differenza e le identità, la solidarietà”. L’arcivescovo esprime poi la sua gratitudine per la risposta che il Belgio e Bruxelles stanno cercando di dare anche in queste ore all’orrore vissuto. “Non abbiamo mai ascoltato né sui media né da parte dei responsabili politici – dice – un appello alla violenza o alla vendetta”.

Tensioni a place de la Bourse. Solo due giorni fa, a Bruxelles, a fianco di chi si ritrovava per manifestare la propria solidarietà alle famiglie delle vittime, ci sono state tensioni: 450 hooligan si sono radunati intonando inni neonazisti. Alcuni erano incappucciati e ubriachi. La polizia ha cercato di mantenere il controllo utilizzando anche gli idranti. Pur senza fare diretto riferimento a quei disordini, l’arcivescovo ieri in cattedrale ha detto: “Ciò che gli autori di questi atti vogliono, è dividerci, metterci gli uni contro gli  altri. Per questo dobbiamo oggi più che mai essere insieme, resistere all’angoscia, non perdere coraggio”.

La veglia continua. Prendono la parola due donne in rappresentanza delle comunità ebraica e musulmana di Bruxelles. La prima ricorda l’esperienza vissuta dal padre nei campi di concentramento della Shoah e del suo coraggio “a non perdere mai la speranza pur nelle tenebre più oscure”. La seconda confida: “E’ con un cuore ferito che vi parlo”. E poi legge una preghiera dell’Abbé Pierre: “Continuerò a credere , anche se tutti perdono la speranza. Io continuerò ad amare, anche se gli altri distillano odio”.  La preghiera alterna momenti di invocazione, letture di brani del Vangelo e canti di Taizé. Poi un profondo silenzio ha attraversato la cattedrale. “Oh! Signore, fa di me uno strumento della tua pace: dove è odio, fa ch’io porti amore, dove è offesa, ch’io porti il perdono”. Le parole di San Francesco vengono scandite in un’atmosfera sacra, quasi sospesa mentre fuori in città è ancora caccia ai terroristi.