Il contabile che preferì Dio alla banca (1ª parte)

Bracco Luigi

“Noi i l'avìo ‘n cuntabil cha l’à lassase per fè meditassiun”: è il commento, tra lo stupito e lo scandalizzato, che si bisbiglia a Fossano sul conto di un ragioniere, tal Luigi Bracco, che un bel giorno, di punto in bianco, abbandona un posto di lavoro dalla promettente e ben remunerata carriera, per dedicarsi, in casa propria, alla preghiera e alla meditazione. Se l’esperienza delle “monache di casa” non è certamente nuova nella storia della Chiesa, bisogna però dire che questo “monachesimo domestico” si è sempre quasi esclusivamente espresso al femminile, e non è mai stata così comune, specie dalle nostre parti, una sua versione maschile. Si capisce allora lo sconcerto del rilevatore del censimento che alla domanda “professione?”, sentendosi rispondere da Luigi “Faccio la volontà di Dio”, si trova nell’imbarazzo di cosa scrivere, finendo poi per faticosamente concordare con il diretto interessato la formula “religioso laico” che più si avvicina, pur senza centrarla in pieno, con la particolare ed esclusiva “ricerca di Dio” che l’uomo sta conducendo. Nasce nel 1918, ereditando una particolare predisposizione per gli studi dal padre e dal nonno: come loro in prevalenza autodidatta, con spiccata preferenza per gli studi filosofici e teologici, ma anche portato per le scienze esatte, in nome delle quali si diploma ragioniere da privatista, con l’aiuto e sotto l’assistenza del futuro cardinal Pellegrino, esigentissimo e per niente disposto a fare con lui brutta figura. Un rischio abbastanza remoto, vista la promozione a pieni voti e la totale applicazione negli studi, per i quali sacrifica tutto, anche i giochi e i divertimenti classici dei bambini.

Orfano di padre nel 1927, che muore in conseguenza della “spagnola” contratta nella prima guerra, ancor prima del diploma di ragioniere comincia a lavorare all’Ufficio Imposte, dove dimostra di sapere il fatto suo e si impone per la serietà e la diligenza nel lavoro. Arruolato durante la seconda guerra (anche se in teoria dovrebbe esserne esonerato in quanto orfano di militare deceduto per causa di servizio) viene spedito alla Cecchignola, da dove fa ritorno dopo l’8 settembre 1943, attraversando fortunosamente l’Italia a piedi e vivendo poi, fino alla Liberazione, tappato in casa. Ufficialmente disertore, che rischiava grosso, anche la deportazione; concretamenteun giovane uomo che non può aderire alle forze armate della RSI e combattere a fianco dei Tedeschi, anzi tentato a più riprese di aggregarsi a qualche banda partigiana, ma con più di una difficoltà ad imbracciare il fucile ed a seminare morte.  L’autosegregazione nella sua cameretta è forse il preludio alla sua successiva vocazione: studio continuo e preghiera lo modellano alla vita contemplativa e meditativa che si esprimerà al meglio a Liberazione avvenuta. Luigi è assunto alle dipendenze della Cassa di Risparmio: si impone come sempre per capacità e professionalità, gode della stima dei superiori ed è facile pronosticargli una brillante carriera (qualcuno già lo vede direttore di filiale, tutti comunque avvertono di aver a che fare con uno che “farà strada”).

Invece qualcosa in lui si rompe e la prima ad accorgersene è la mamma, che lo vede ammalarsi, diventare inappetente e insonne, reso perennemente triste da un tormento interiore. Che Luigi non vuole svelare, quasi vergognandosene e che tira fuori un giorno solo perché pressato dai famigliari: “Non voglio mica passare la mia vita dietro una scrivania”. È l’inizio della crisi interiore, dalla quale sa di non poter uscire senza abbandonare quel lavoro, che tuttavia gli è indispensabile perché unico mezzo di sostentamento della famiglia. Mamma, dopo la vedovanza, ha allevato, mantenuto e fatto studiare i figli con ‘l punt ‘d l’uia, imparando anche a fare la maglierista e riuscendo alla fine a comprare, di seconda mano, una macchina per lavorare a maglia. Si rende quindi perfettamente conto che, qualora venisse a mancare lo stipendio del figlio, dovrebbe continuare a mandare avanti la famiglia come aveva fatto fino ad allora, tuttavia, da donna cui non manca la fede, sprona il figlio a lasciare il lavoro ed a seguire la sua “strana” vocazione, “perché”, dice, “la Provvidenza ci penserà”. La gente commenta e non approva: nulla sarebbe stato se Luigi avesse abbandonato il lavoro per entrare in convento o in seminario, ma il dedicarsi esclusivamente alla preghiera e alla meditazione restando in casa è davvero troppo per il comune sentire. Così c’è chi lo giudica uno scansafatiche, chi lo critica per aver buttato alle ortiche un posto in banca che tutte le persone “normali” si sognerebbero e c’è anche chi commisera quella mamma che ha fatto tanti sacrifici per mettere quel figlio all’onor del mondo e che si vede ripagata a quel modo. Siamo nel 1946, nell’immediato dopoguerra, c’è fame di lavoro e tanta povertà, soprattutto spirituale, cui Luigi cerca di ovviare intensificando il suo rapporto con Dio e lasciandosi guidare per strade che egli non si sogna, anzi neppure riesce ad immaginare.

(1-continua)