Il vescovo passato per Maddalene (3ª parte)

Bologna Secondo

Il contributo del nuovo vescovo (mons. Secondo Bologna) per la riappacificazione e l’unità del territorio diocesano di Campobasso consiste nell’iniziare subito una visita informale di tutte le parrocchie, per conoscere i singoli sacerdoti, avvicinare la popolazione, ricreare il senso di appartenenza alla Chiesa locale, rilevare i problemi e le criticità delle singole comunità parrocchiali, ma anche le peculiarità di ognuna e il patrimonio spirituale di opere ed istituzioni «che abbiamo ereditato dai nostri maggiori e che dobbiamo non soltanto conservare in vita, ma rendere sempre più prospere», che egli si studia di illustrare e presentare con una circolare mensile. A tutto ciò si deve aggiungere una situazione finanziaria piuttosto disastrata, diretta conseguenza di indebitamenti per scelte e progetti precedenti non sufficientemente ponderati (il classico passo più lungo della gamba), che lo obbligano ad un’energica azione di risanamento, chiedendo sacrifici e sobrietà a tutti e di cui egli vuole per primo dare l’esempio, addirittura rinunciando a riscaldare il vescovado nei tre inverni passati a Campobasso.

Si vede che la prima visita “informale” e di conoscenza del territorio si è rivelata davvero fruttuosa se, appena terminata, sente il bisogno di indire una visita pastorale vera e propria, che lo riporta sul territorio, a tastare il polso delle varie comunità e ad immergersi nelle varie realtà locali nel tentativo di farle crescere nella comunione ecclesiale. «...Ognuno resti al suo posto; in mezzo ai propri fedeli, accanto alla propria Chiesa. A prezzo di qualsiasi sacrificio. È dovere di giustizia e di carità... il Buon Pastore dà la vita per le sue pecorelle!»: è la raccomandazione che scrive ai suoi preti nell’autunno del 1943, quando anche il Molise diventa fronte di guerra. E secondo il suo stile, che ha sempre adottato, di precedere con l’esempio perché la parola non sia mai disgiunta dalla testimonianza di vita, da parte sua rifiuta categoricamente i ripetuti inviti di chi gli è più vicino a cercare ospitalità in qualche canonica di campagna per sfuggire ai bombardamenti che certamente sarebbero arrivati ad interessare anche Campobasso. Cosa che si verifica puntualmente il 10 ottobre, con una città sotto assedio, diverse bocche da fuoco puntate sul centro abitato, le principali vie di comunicazioni minate, che i tedeschi sono seriamente intenzionati a far esplodere per fermare l’avanzata angloamericana. «Signore, se per la salvezza di Campobasso occorre una vittima, prendi me, ma salva il mio popolo» è la struggente ed eroica invocazione con cui monsignor Bologna termina l’omelia della messa di quella mattina per impetrare la salvezza della città, in una cattedrale particolarmente gremita per essere di giorno feriale.

Alle 13 si reca presso il comando tedesco per implorare lo stato maggiore di desistere dal proposito di far esplodere le mine già posizionate, soprattutto quelle in prossimità del campo sportivo, che provocherebbero un’ecatombe nelle vicine case popolari, sentendosi impietosamente rispondere: «Ciò che deve bruciare brucerà, ciò che deve saltare in aria salterà, ciò che deve essere distrutto sarà distrutto, altrimenti si avvantaggerebbero i nostri nemici... è la guerra!». Dopo cena il vescovo decide di concludere la giornata con la recita del rosario nella cappella del seminario, invitando le suore e i canonici ad unirsi alla sua preghiera per scongiurare quanto non è riuscito ad ottenere dal comando tedesco con la sua mediazione. Alle 21 esatte riprende il bombardamento sulla città e un colpo, uno soltanto, si abbatte sul tetto della cappella, provocando la caduta di una trave e di calcinacci. Una scheggia, tra le sessanta che si conteranno all’interno dell’edificio, colpisce il vescovo alla nuca e altri frammenti gli si conficcano nel collo. Viene seriamente ferita anche suor Lucia Brunelli, di appena 29 anni, delle Piccole Discepole di Gesù e si fa appena in tempo ad amministrare loro l’unzione degli infermi: monsignor Bologna spira alle 22, suor Lucia dopo 24 ore di agonia. Il giorno dopo nessuno vuole assumersi la paternità di quell’esplosione, tantomeno Kesserling, che però ordina l’immediato ripiegamento delle sue truppe, ponendo fine ad un assedio che evita a Campobasso lo spargimento di altro sangue innocente: quasi la firma di Dio in risposta all’eroismo di monsignor Bologna che si era offerto vittima per la città di cui era pastore.

(3-fine)