Le mille lire al mese di padre Mina e il centuplo di Gesù (2ª parte)

Mina Padre Giuseppe
padre Giuseppe Mina, parrocchia Salice, settembre 2000

Il giovanotto che, pur amando intensamente i giovani e la pastorale giovanile, ha rinunciato ai Salesiani per la sola paura di finir “sepolto” in qualche collegio a far da assistente, dai superiori della Consolata, proprio perché ama stare con i giovani, viene dirottato (indovinate un po’?) a far da assistente ai giovani studenti futuri missionari fino al 1950, quando lo spediscono ad Alpignano, come direttore dei Fratelli coadiutori. Padre Giuseppe Mina continua a sognare le missioni, ma intanto qui deve fare il progettista, il costruttore e il direttore lavori di un edificio moderno ed efficiente in cui avviare i corsi professionali per chi andrà in missione a fare lavori manuali e ad insegnar un mestiere agli altri. La guerra è finita da poco, la casa-madre torinese deve risorgere dai bombardamenti subiti, i mezzi finanziari scarseggiano e per avviare una simile impresa ci vuole qualche grammo di sana follia e soprattutto tonnellate di fede nella Provvidenza che al nostro missionario non mancano di certo. E così in sei anni non solo è ultimato il nuovo edificio, ma in esso già vengono avviati i primi corsi professionali regolarmente approvati dal ministero.

Neanche il tempo per rallegrarsi del lavoro compiuto, che subito gli dicono di tener pronte le valigie per cominciare ad essere il maestro dei novizi e all'obiezione, piuttosto naturale «Come posso passare dalla costruzione della casa dei Fratelli al noviziato?», si sente sussurrare all'orecchio a più riprese, che «l’obbedienza fa miracoli» e in men che non si dica si ritrova nell'incantevole Certosa di Pesio, a cercare di far innamorare all'ideale missionario e al carisma dell'Allamano i giovani in discernimento vocazionale. «Misi quasi da parte l'idea di partir per l'Africa, avendo ormai 45 anni, mentre mi sosteneva l'innata voglia di comunicare ai giovani la bellezza della vocazione alla missione».

Al termine del primo triennio, tuttavia, qualcuno si ricorda dei suoi trascorsi nell'Azione cattolica del Salice e lo spediscono in Africa, appagando in un colpo solo due sue aspirazioni: andare in missione e rituffarsi nell'associazionismo che è stato così significativo per la maturazione della sua vocazione. La richiesta specifica arriva dal leggendario vescovo di Nyeri, in Kenya, Carlo Cavallera, che dopo la persecuzione dei Mau Mau, allo scopo di creare un laicato disposto a collaborare con la Chiesa locale, pensa di trapiantare l'Azione cattolica nella sua diocesi. Sembra che padre Mina assolva in modo egregio al suo compito, se questa in breve fiorisce in ciascuna delle ventiquattro parrocchie di cui all’epoca è costituita la diocesi; anzi, ne sono tutti così soddisfatti che, al termine del secondo triennio i superiori considerano concluso il suo impegno africano e lo richiamano in patria, a proseguire il suo servizio in noviziato. «Se ho un rimpianto è quello di aver potuto stare tanto poco in terra di missione - confida -; quando mi si domanda quanto sono rimasto in missione, mi brucia il rispondere: "Tanto poco", anche se so che anche questo era nel piano di Dio».

La Certosa lo riaccoglie con il suo fascino e il suo silenzio mistico, affronta il suo impegno tra i giovani con le migliori disposizioni, ma intanto nulla sembra più essere come prima. «Nei primi anni tutto andava avanti con modalità collaudata, poi, in proporzione che si avvcinava il fatidico 1968, le cose divenero sempre più problematiche. I giovani erano sempre quelli, allegri, espansivi, generosi, ma la contestazione giovanile entrava anche nei noviziati, nei seminari, nei conventi più agguerriti e tutto venne messo in discussione», confida nei suoi ultimi anni. Non sembra esserci amarezza in queste sue considerazioni, piuttosto una lettura lucida dei segni dei tempi, insieme, forse ad un po' di sofferenza nel constatare che «dei circa 200 giovani che accolsi alla Certosa, solo il 49% ha perseverato». Nel momento in cui fa questa confidenza, con affetto di padre enumera che «attualmente gli ex novizi sul campo sono 79 i Padri e 19 i Fratelli, tre invece sono già tornati alla casa del Padre. Sento in essi un prolungamento e prego per loro». Poi arrivano i primi seri problemi di salute, che nel 1972 determinano il suo rientro in Casamadre: non però a riposare, ma a diversamente lavorare, diventando l’anima di alcune organizzazioni attive nella integrazione degli stranieri, collaborando con studi e ricerche nella redazione della storia del suo Istituto, scrivendo con il suo stile frizzante le biografie di alcuni missionari e collaborando a giornali e riviste, tra cui il nostro settimanale. Senza mai dimenticare il ministero saccerdotale vero e proprio, che offre generosamente alle parrocchie torinesi, malgrado gli anni scorrano inesorabili e la salute vacilli sempre più.

(2-continua)