È davvero sport?

La notizia ha fatto il giro del web e dei maggiori mezzi di informazione di tutta Italia. Ci riguarda da vicino perché ha coinvolto – suo malgrado – una squadra di calcio fossanese impegnata in una partita a Riva di Chieri contro una squadra francese. Una partita di calcio, tra giovani calciatori, anzi giovanissimi, di appena dodici anni, che nel giro di pochi istanti diventa qualcosa che assomiglia di più ad un campo di battaglia, una rissa dalla violenza difficilmente descrivibile. Non serve entrare nei dettagli del come si sia scatenato tutto ciò. Ma restano quelle immagini, rimbalzate anche grazie ad un video diventato tristemente virale, che sono difficili da spiegare. Si può risolvere la faccenda con una sentenza lapidaria: questo non è calcio, ma violenza pura e semplice che usa come pretesto il calcio per sfogarsi liberamente. Lo abbiamo già visto altre volte, in campo, nelle curve. Ma forse sarebbe troppo banale. E forse potrebbe sembrare una semplificazione anche dare la colpa alla società in cui viviamo (e quindi a tutti noi) sempre più esasperata ed esasperante, alla violenza gratuita che ci propinano la tv e i vari media. O, ancora, alla latitanza di quelle che dovrebbero essere le figure di riferimento per la formazione dei giovani, dalla famiglia, alla scuola, alle stesse società sportive. E allora cos’è che non funziona?
Certo rivedendo quel video, quei pugni che volano, il calcio dato da un ragazzino francese ad un dirigente della squadra italiana, che lo colpisce sul fianco quando questi è a terra, la sensazione è di avere a che fare non con una squadra, ma con un gruppo di ragazzi pronto ad esplodere e che non vede l’ora che ci sia una scintilla ad innescare l’esplosione, non importa il motivo. Abbiamo sempre sostenuto, e continuiamo a pensarlo, che lo sport sia una palestra di vita. E questo che si parli di calcio o di altro sport, compresi quelli che - erroneamente - vengono definiti sport minori, dove il maggiore e minore spesso è legato solo alla maggiore o minore circolazione di euro. E forse, forse, non sempre e non tutte le società vedono nello sport un luogo in cui i giovani possano crescere anche come persone, imparando a lottare per un risultato, certo, ma anche ad incassare una sconfitta. Perché nella vita funziona così. Imparando il sacrificio dell’allenamento e la forza dell’impegno ancor prima del risultato in classifica. Perché nella vita funziona così. Imparando a canalizzare e utilizzare le energie, le forze e talvolta anche le frustrazioni la rabbia per fare qualcosa di buono anziché di distruttivo per gli altri e per se stessi. Quella che abbiamo visto è una brutta pagina di sport. Una sconfitta del calcio. Lo sport insegna che dalle sconfitte si impara qualcosa. Se la squadra in questione (dirigenti, ragazzini e persino le loro famiglie non avranno imparato nulla da ciò che è successo) non avrà imparato nulla da ciò che è successo, allora, tornando al dubbio di prima la risposta sarà chiara: questo non è sport.