È di Sant’Albano il vicepresidente “finance” del colosso Thermo Fisher Scientific

il sant'albanese giuseppe vallauri

C’è anche un santalbanese “dietro” ai test molecolari che molti di noi hanno dovuto fare (anche più volte) durante la pandemia e ai vaccini Covid che hanno contribuito a mitigarla. È Giuseppe Vallauri, vicepresidente finance di Thermo Fisher Scientific che da anni ha lasciato l’Italia e ora lavora tra Parigi e Boston.

Qual è stato il suo percorso? Dopo la laurea in Economia politica all’Università Bocconi di Milano ho cercato opportunità all’estero, visto che avevo già fatto l’Erasmus a Budapest. Ho iniziato con uno stage in General Electric a Parigi dove poi sono stato assunto. Ero nel settore finanza e ho lavorato in Germania, Olanda e, appunto, nella capitale francese, spostandomi ogni 6 mesi. Nel 2010 ho colto un’altra opportunità e sono partito per la Scozia, dove ho iniziato a lavorare per Life Technologies, un’azienda di biotecnologie.

Era un settore nuovo? In realtà non completamente, perché già in General Electric seguivo la divisione Healthcare che opera nel settore della diagnostica per immagini (Tac, Risonanza magnetica,…) e c’erano già alcuni punti di contatto con le cosiddette “scienze della vita”. 

Quando è rientrato a Parigi? Nel 2014 Life Technologies è stata acquisita da Thermo Fisher Scientific, la multinazionale statunitense di Boston che è il più grande fornitore al mondo di prodotti per la ricerca scientifica. Tutti i laboratori, molti ospedali, case farmaceutiche e aziende biotecnologiche usano i nostri prodotti, che includono strumenti, reagenti, servizi e softwares. Insomma, tutto quello che si può utilizzare per ricerca scientifica applicata alle tecnologie della vita.

Nel 2014 sono quindi tornato a Parigi in Thermo Fisher Scientific e poi nel 2017 abbiamo acquisito Patheon, un’azienda farmaceutica multinazionale che sviluppa e produce farmaci per conto terzi. Le grandi aziende farmaceutiche o le piccole biotecnologiche, possono infatti decidere di affidarsi a fornitori esterni che fanno questo lavoro, mentre loro si dedicano alla ricerca di nuove molecole. Dal 2021 sono il responsabile finanziario della divisione di Thermo Fisher che sviluppa e produce medicine.

Ci spiega qualcosa in più su Thermo Fisher Scientific? Si tratta di una multinazionale con un fatturato annuo di oltre 40 miliardi di dollari, 120 mila persone nel mondo, una capitalizzazione in borsa superiore ai 200 miliardi di dollari. Abbiamo stabilimenti ovunque nel mondo, con una presenza molto forte in Nord America, Europa e Cina.

Siete stati tra i “protagonisti” nella lotta al Covid… Sì, ad esempio nel vaccino Covid. Abbiamo supportato sia Moderna che Pfizer nella produzione dei loro vaccini, in particolare nei due stabilimenti italiani di Monza e Ferentino, in provincia di Frosinone.

Non solo questo però. Esatto, Thermo Fisher ha sviluppato il test molecolare di riferimento per la detezione (rilevazione, ndr) del Covid, quello con lo swab nasale (non i test rapidi, ma quelli che si fanno in ospedale o nelle strutture mediche). È un test che viene fatto su piccoli strumenti, noti come qPCR, che amplificano il dna del virus attraverso la tecnica della reazione a catena della polimerasi. Si tratta di una strumentazione molto diffusa, che esiste da decine di anni e viene utilizzata per varie analisi molecolari (anche in campo veterinario, nell’industria alimentare e nelle indagini forensi) e consente di analizzare l’eventuale positività a un patogeno. La nostra è stata una delle primissime aziende ad uscire con questo test, ed è stato necessario ampliare o anche costruire nuovi stabilimenti di produzione per rispondere all’enorme domanda mondiale. In molti Paesi siamo stati attori fondamentali nella battaglia contro la pandemia. Nel periodo tra i test e i vaccini la mia divisione ha anche dato un contributo fondamentale nella produzione delle medicine antivirali che sono state ampiamente utilizzate negli ospedali per il trattamento dei casi più gravi.   

La pandemia ha messo tutti alla prova. Che effetto le ha fatto sapere che lei e la sua azienda eravate in prima linea? Ovviamente il Covid ci ha segnato tutti a livello personale e chiunque si augura non accada più una cosa simile. Ma dal punto di vista professionale è stata un’esperienza unica: pur sapendo che fai queste cose tutti i giorni il Covid ci ha dato l’idea della portata che ha il nostro lavoro, in tutto il mondo. Abbiamo affrontato sfide non indifferenti, perché le regole cambiavano in continuazione ed era fondamentale riuscire a proteggere i nostri lavoratori. Quindi abbiamo (ad esempio) dovuto studiare una nuova turnazione per far sì che i dipendenti non si incontrassero, per tutelare loro e i prodotti che erano indispensabili nella lotta contro la pandemia. 

Ora lavora sempre a Parigi? Viaggio spesso a Boston, sede della nostra casa madre, ma anche nelle altre sedi sparse in Europa e Nord America, presto anche a Singapore e in Cina. Di base però sono a Parigi, dove ci sono anche mia moglie e i nostri due figli. E almeno un paio di settimane all’anno cerco di tornare a Sant’Albano, che rimane sempre “casa”.