Luigi Craveri, il “Cottolengo fossanese” (1ª parte)

Craveri Luigi

Dedicato a mons. Biagio Mondino, che non ha fatto in tempo
a leggerlo quaggiù, ma che sicuramente ha la possibilità di commentarlo ora
con il diretto interessato, che in vita tanto ha amato e onorato.

A definirlo tale, nel cinquantesimo della morte, è il canonico Bertoglio, ricordando che i due, oltreché contemporanei, sono stati anche fraternamente amici e il torinese a quello di Fossano, oltre a mandar le suore per assistere i nostri bisognosi, ha imprestato anche il suo famoso motto “caritas Christi urget nos”. Monsignor Borra, a cent’anni dalla morte, lo definisce “una gloria fossanese”, forse dimenticandosi che qui ha trascorso soltanto diciotto anni, gli ultimi, della sua non lunghissima vita, mentre i precedenti cinquanta sono stati vissuti in diocesi di Torino, della quale non può essere considerato altro che un “gentil prestito”. «Io non ho altro capitale che il nulla e la confusione dei miei peccati che mi rendono peggiore del nulla», dice invece di se stesso il prete, macilento e dimessamente vestito, che ad un'intensa attività benefica affianca i non indifferenti incarichi di Rettore del seminario, di Vicario generale, di teologo, di apprezzato maestro di spiritualità e direttore di anime, nonché di fecondo oratore sacro. E che la sua non sia umiltà mascherata lo può testimoniare il suo percorso spirituale, teso alla santità e del tutto alieno da ogni forma di manierismo.

Nasce a Murello il 28 aprile 1781 e i genitori, che lo vogliono chiamare Luigi per onorare il santo dei Gonzaga, si affrettano a farlo battezzare, "per farlo rinascere a Dio da cui l'avevano ricevuto". Basta forse questo loro proposito a dar le dimensioni della statura morale di papà Giuseppe e di mamma Marianna Taberna, che indiscutibilmente sono anche i suoi primi efficaci catechisti. Perché, mentre lei gli insegna le prime preghiere e gli parla dell'amore che si deve avere per Dio, papà gli fa vedere in pratica come questo si deve declinare in aiuto e amore verso il prossimo, semplicemente attingendo dal suo vissuto personale di medico del paese che cura gratuitamente i poveri e che si fa talmente benvolere dai suoi pazienti da diventare il confidente e il consigliere di tutti. E quindi non è proprio un caso che la dimensione verticale e orizzontale dell'amore siano le predominanti dell'intera vita del canonico Luigi Craveri. Che vive un'infanzia assolutamente normale, appena contrassegnata da una precoce inclinazione per le "cose di chiesa" e con la voglia di partecipare alle celebrazioni, che impara a frequentare anche da solo e dove resta tutt'orecchi, salvo poi, tornando a casa, farsi spiegare quanto non ha capito da papà, che evidentemente, oltre che catechista. è anche un buon mistagogo.

A ben guardare, però, due segnali a dir poco straordinari (per non dire miracolosi) contrassegnano questa infanzia murellese, fatta di giochi, studio e preghiera. Innanzitutto, una cancrena al braccio, contro la quale del tutto inutili si rivelano le doti mediche di papà, tanto che il chirurgo consiglia l'amputazione, risultata poi assolutamente non necessaria in quanto la Madonna, caldamente invocata da tutta la famiglia Craveri, arriva a guarire in modo inspiegabile quel braccino malato, con gran sorpresa di tutti. Poi la cecità completa, da cui Luigi è colpito a sette anni. Nuovamente viene messa in campo la Madonna, anzi Luigi, con la precocità che gli deriva da un'intelligenza non comune e da una grande sensibilità, fa voto alla Madonna di Loreto di farsi sacerdote nel caso gli avesse fatto recuperare la vista. Esaudito in men che non si dica, il bambino, com'è naturale a quell'età, si dimentica della promessa fatta, salvo ricordarsene sette anni dopo, a 14 anni compiuti, al termine di una celebrazione in cui ha sentito vivissimo il desiderio di essere sacerdote. Ed è quest'ultimo, più che non il voto fatto nell'immaturità dell'infanzia, a portarlo in seminario a Torino, dove inizia uno splendido percorso di studi, in cui la sua bella intelligenza ha la possibilità di esprimersi al meglio. Se solo potessero, i superiori lo porterebbero all'ordinazione anche molto prima del prescritto, ma già il fatto di essere stato ordinato il 29 febbraio 1804 (cioè a 23 anni neppure compiuti e quindi con dispensa della Santa Sede) la dice lunga sulla stima e sulla considerazione in cui è tenuto. Soprattutto dal cuneese Pio Bruno Lanteri (fondatore degli Oblati della Beata Vergine e oggi Venerabile, in attesa di una ormai prossima beatificazione), che è uno dei suoi formatori e la sua guida spirituale, e che, con la scienza propria dei santi, meglio di molti altri riesce a comprenderne lo spessore e la profondità interiore. È sicuramente a partire da questi anni che il Lanteri comincia a “fargli il filo” per averlo tra i suoi futuri Oblati, quelli che riuscirà a fondare non appena la dominazione francese e Napoleone gli daranno tregua dalle persecuzioni con cui l’avevano tenuto sott’occhio come “elemento pericoloso”.

(1 - continua)