Il ritorno del lupo, che cosa c’è da sapere

Foto Archivio Aree protette Alpi Marittime (Rivelli)

Nel marzo del 2016, lungo la statale 231 a Murazzo venne trovata la carcassa di un lupo, investito da un veicolo. “Un fatto eccezionale”, scriveva Luigina Ambrogio su “la Fedeltà”: e aveva ragione, perché il grande predatore non si vedeva da un centinaio di anni. Lo scorso 28 aprile, nel salone parrocchiale della stessa frazione di Fossano, Mauro Fissore - responsabile della vigilanza delle Aree protette Alpi Marittime, realtà a sua volta capofila del progetto “Life wolfalps Eu” - ha dedicato una serata all’animale, ormai presente non solo sulle montagne, ma anche in pianura: una serata - organizzata dallo Sciolina snow club di Murazzo, in collaborazione con il Consiglio frazionale sempre di Murazzo - che è stata l’occasione di conoscere meglio il carnivoro, al di là dei molti stereotipi che lo riguardano.

Nel passato, il lupo esercitava un fascino enorme, tanto da divenire una figura mitologica: non si dimentichi che ad allattare Romolo e Remo fu una lupa. Nel mondo cristiano, l’immagine del lupo cambia: se San Francesco si limita a rabbonire quello di Gubbio, in alcune rappresentazioni medievali un cane bianco e nero, colori dell’Ordine dei frati predicatori, sbrana il grande predatore, che diventa simbolo del male. È vero che, per contro, numerose famiglie nobili inserivano nel loro stemma un lupo stilizzato; ma è altrettanto vero che era ormai cominciata una “leggenda nera” la cui eco dura tuttora. Ne è complice, purtroppo, la stampa: su alcuni numeri de “La Domenica del Corriere” di inizio Novecento, si osservano branchi di lupi che attaccano cortei nuziali e perfino corriere in viaggio.

Va da sé che si tratta di fantasie ridicole. Il lupo non è mai aggressivo verso l’uomo: non lo attacca, anzi lo evita. C’è perfino la testimonianza di un fotografo che è riuscito a immortalare dei lupacchiotti, incuriositi dalla macchina fotografica: mamma lupa non solo non ha aggredito l’«intruso», ma ha spostato la cucciolata.

Ben diverso l’atteggiamento che, per contro, l’uomo ha manifestato verso il lupo: anche in Italia, il grande predatore è stato ferocemente cacciato. Appunto la caccia, insieme con la riduzione delle prede disponibili e la scomparsa dell’habitat, ha fatto sì che la presenza del carnivoro si riducesse a pochi esemplari, in Abruzzo. Per quanto riguarda il nostro territorio, l’ultima uccisione di lupo di cui si ha notizia risale al 1921: avvenne in val Corsaglia.

Qualcosa, negli ultimi decenni, è cambiato: dall’Abruzzo, il lupo è tornato ad occupare territori dove viveva un tempo. L’attenuarsi delle persecuzioni (purtroppo perfino oggi c’è chi getta esche avvelenate), l’aumento delle prede (ad esempio i caprioli) e il ripristino dell’habitat (legato all’abbandono dei territori montani da parte dell’uomo) hanno permesso questo ritorno. Ritorno che si può osservare anche in Piemonte: la regione accoglie 81 unità riproduttive (branchi o coppie), di cui 35 nella provincia di Cuneo, dove il predatore è ricomparso negli anni Novanta del secolo scorso.

Mauro Fissore relatore in una serata dedicata al lupo

Gli spazi che piacciono oggi ai lupi sono più o meno gli stessi che piacevano un tempo. Molti toponimi locali contengono un’allusione al grande predatore: e proprio nei luoghi indicati con quei toponimi oggi si rivede il lupo. Può succedere perfino nei centri di paese: di recente, un esemplare è stato avvistato nella frazione Crava di Rocca de’ Baldi, in via Cantalupo.

Chi lo ha visto afferma che era intento a mangiare un cachi, caduto da un albero. Non ci si deve stupire. Il lupo è un “opportunista”, che quando non riesce a catturare le prede preferite, si accontenta di tutto ciò che è commestibile, perfino carogne.

Fra le prede preferite ci sono, è vero, le pecore. Innegabilmente un problema per i pastori (e gli allevatori). La presenza del pastore stesso al pascolo, l’impiego di cani adeguati e l’uso di recinzioni elettrificate sono strumenti di difesa molto efficaci che, se adottati tutti e tre insieme, riducono notevolmente la minaccia.

Attenti, poi, a non attribuire al lupo “malefatte” compiute da cani sfuggiti al controllo del proprietario. Se le impronte non sono generalmente sufficienti perché si possa discernere fra i due animali (ciò che cambia non è la loro forma, ma il modo in cui si dispongono: il lupo tende a procedere diritto verso la meta, mentre il cane girovaga), ci sono altre caratteristiche che consentono di effettuare il “riconoscimento”, ad esempio le dimensioni: il grande predatore, a dispetto della straordinaria forza che gli consente di maciullare tendini ed ossa quando azzanna, pesa mediamente 35 chilogrammi, molto meno di un cane da pastore. Ovviamente se l’esemplare sotto osservazione è lontano, il rischio di sbagliare è alto: uno dei motivi per cui, spesso, si segnala la presenza di lupi quando in realtà sono stati avvistati dei cani da lupo cecoslovacco.

Attenzione, anche, a non sovrastimare la presenza del lupo, la cui “densità” sul territorio non può superare una certa soglia: ogni branco, che a sua volta “accetta” un numero di componenti limitato, tende ad occupare un’area vasta, dai 120 ai 300 chilometri quadrati. Agli esemplari che non trovano più spazio, non resta che mettersi in viaggio: sono i lupi “in dispersione” che talvolta coprono distanze enormi, come nel caso di un esemplare che, nato in val Casotto, ha raggiunto Monaco di Baviera. Se, di notte, i fari della vostra auto abbagliano un lupo, pensate al viaggio che potrebbe aver compiuto e rallentate.