Tutta la nostra vita è fatta di segni: alcuni sono più facili da capire e decifrare, altri sono più complessi. La scrittura è fatta di segni convenzionali sui quali c’è un accordo di fondo. Anche la lettura di questi segni scritti è frutto di consuetudini che possono variare da paese a paese. Quando ci muoviamo per le nostre strade seguiamo dei segni che regolano, indirizzano, suggeriscono o impongono il nostro modo di spostarci. Abbiamo anche imparato ad interpretare gli sguardi, il modo di porsi del nostro corpo e, a volte, anche i nostri sentimenti. Oggi anche il mondo digitale vive di segni. Nell’esprimere la fede e nel celebrare i misteri della vita religiosa in genere e cristiana in particolare usiamo segni, gesti, parole, espressioni vocali di vario genere.
Lo aveva capito molto bene San Francesco quando, ottocento anni fa, aveva ideato il presepe. Nella sua testa non c’era il desiderio di romanzare quell’avvenimento che ha sconvolto la storia. Sapeva bene che tra i suoi contemporanei pochi avevano dimestichezza nel leggere e scrivere. Lui ha avuto la fortuna di fermarsi in quel luogo dove è nato il Signore, un momento che lo ha segnato profondamente. Con semplicità ha provato a riproporre col presepe quanto i vangeli hanno narrato. Voleva che, oltre alle rappresentazioni, lo sguardo fosse elevato a tentare di penetrare maggiormente il mistero del Dio fatto uomo.
Sono passati ottocento anni e noi continuiamo a vivere di segni che ci aiutano a guardare oltre. Nelle chiese del passato, nella tradizione orientale prima e poi in quella occidentale, i muri erano cosparsi di immagini, di dipinti, di mosaici, di icone: era la Bibbia dei poveri, di coloro che non sapevano né leggere né scrivere. Hanno lasciato un segno e tante persone hanno percepito il mistero cristiano. Nelle nostre case c’era e c’è la bella abitudine di allestire il presepe. Magari non ci ricordiamo di ciò che fece San Francesco. Adulti, anziani e bambini, tutti danno il loro apporto. Prima del Natale fervono i preparativi; si va in cerca del muschio, si identifica un luogo adatto, si prepara l’ambiente per poi porre statuine che di anno in anno rispolveriamo. In questo periodo i bambini spesso le fanno ‘camminare’ e, man mano, si aggiungono particolari. Se abbiamo la forza di non attualizzare troppo i personaggi che compongono il presepe, ecco un messaggio che diventa in tanti casi la prima catechesi e il primo annuncio che può portare alla fede. Se tutto ciò corrisponde all’ambiente di Betlemme non importa. Rimane un qualcosa da vedere. Ci invita anche noi a destarci, a muoverci mettendoci in cammino come hanno fatto quelli che risiedevano in quella terra e come hanno fatto anche altra gente che veniva da lontano. Hanno cercato, hanno trovato, si sono meravigliati. Il loro sguardo si è elevato verso l’alto e verso il basso. Poi hanno adorato il Figlio di Dio.
Anche il presepe può diventare occasione per ritornare a Dio, Signore della nostra storia, Signore della nostra vita. Buon Natale 2023!
di ✠ Piero Delbosco, vescovo