In molti si sono comportati nel modo “più giusto” e coraggioso, contribuendo a salvare durante il periodo dei rastrellamenti molte persone; quando anche solo per riuscire a salvare la vita di un ebreo - che sarebbe destinata alla deportazione - si metteva a rischio la propria. Alcune di queste persone coraggiose sono state insignite del riconoscimento di Giusto tra le nazioni.
Don Antonio Mana, pievano di Maddalene, nel novembre del ‘43 accolse i coniugi ebrei Augusta e Giuseppe Mahler che erano sfuggiti alla sorveglianza tedesca a Borgo San Dalmazzo ed erano arrivati nel Fossanese seguendo il fiume Stura. Nonostante la canonica fosse occupata dai militari tedeschi, don Mana cedette il suo letto alla coppia e poi trovò un nascondiglio più sicuro in una cascina in campagna, dove nacque anche il loro bambino George Antonio. Eludendo il coprifuoco ogni sera don Mana portò loro dei viveri. Nella notte di Natale del ‘43 la messa fu animata dal violino di un ufficiale tedesco e dall’organo suonato dalla donna ebrea (che partecipava alla funzione con il marito in anonimato, ovviamente).
Lorenzo Perrone ad aprile del 1942 giunse ai margini di Auschwitz per lavorare alla “Buna”, fondata per produrre gomma sintetica e sottoprodotti del carbone. Lui era “al di là” del reticolato, aveva documenti e una paga. Nel giugno del 1944 Perrone incontrò Primo Levi. E non ebbe esitazioni: correndo l’immenso rischio di finire nel campo di sterminio, Perrone tutti i giorni, per sei mesi, fornì litri di zuppa supplementari a Primo Levi e al suo amico Alberto Dalla Volta, poi deceduto nella marcia della morte. Perrone aiutò anche altre persone e fornì notizie alla famiglia di Levi. Il suo amico Primo gli fu riconoscente tutta la vita e ricordò il gesto di Lorenzo nei suoi libri.
Luigi e Maria Grasso salvarono i nove membri della famiglia torinese Foà: interpellati dall’albergatore fossanese Blua - dove i Foà sfollarono dopo i bombardamenti che colpirono Torino - misero a disposizione per 18 mesi una casa presa in affitto in frazione Loreto: i Foà furono riforniti di tutti i beni necessari e poterono contare sull’appoggio degli abitanti per essere avvertiti nel caso fossero comparsi tedeschi e fascisti, mentre il dottor Foà si occupava di curare gli ammalati della zona.
Suor Maria Angelica Ferrari nascose la piccola Regina Schneider, che aveva cinque anni nel settembre 1943 quando, insieme al fratellino Louis e alla madre Dvorah, cercò di mettersi in salvo fuggendo dalla zona della Francia del sud. In viaggio verso Torino, la donna si gettò con i figli dal treno in corsa nei pressi di Fossano. Ricoverata in ospedale affidò i figli al primario Francesco Costanzi Porrini, che a sua volta chiese aiuto al vescovo monsignor Dionisio Borra. La piccola Regina venne accolta da suor Maria Angelica Ferrari all’istituto delle Suore Domenicane, e qui trovò un ambiente che l’accolse con amore e la protesse. Più volte Regina, anche dopo la morte di Suor Maria Angelica, è stata a Fossano, per ricordare la sua permanenza qui e omaggiare il cuore e il coraggio della suora.
Giuseppe Meinardi, banchiere di Centallo, grazie alla collaborazione di don Viale e don Brondello, riuscì a salvare i due fratelli Leon Ariè e Menachem Marienberg di 10 e 16 anni. Grazie a un ricovero ospedaliero che fittiziamente si prolungava e a successivi nascondigli riuscì anche a sottrarli alla deportazione e li trattò da figli fino alla fine della guerra.
Maddalena Giraudi in Casale di Tetti Roccia di Levaldigi, durante la Guerra offrì rifugio ad alcuni ebrei della famiglia cuneese Segre, presso cui lavorava sua sorella Giovanna. La città di Savigliano ha voluto ricordare “Madlinin”, come era soprannominata, con un albero nell’area verde di via Don Sciolli a Levaldigi e intitolandole il piazzale di fronte alla chiesa di frazione Tetti Roccia.
I Giusti tra le nazioni del Fossanese
Chi erano don Antonio Mana, Lorenzo Perrone, i coniugi Grasso, suor Maria Angelica Ferraris, Giuseppe Meinardi e Maddalena Giraudi in Casale