Per il momento e per sempre: effetti collaterali

Commento al Vangelo della 5ª domenica di Quaresima

Crocifisso
foto SIR

Una delle conseguenze che derivano dal dover evitare assembramenti di persone, è quella di non poterci incontrare più - per il momento - nei luoghi e per le occasioni che fino a poco tempo fa eravamo soliti frequentare e realizzare. Un divieto tuttavia, per quanto sia doveroso far proprio, lascia basiti: è quello che si riferisce alla sospensione delle varie forme di partecipazione all’esperienza del lutto. In queste settimane infatti, a chi sta piangendo un congiunto oppure una persona cara, purtroppo, è stato tolto l’abbraccio, lo sguardo e il calore dei tanti che avrebbero voluto condividere una visita in casa, una preghiera accanto alla bara o il funerale in chiesa. Senza colpa di alcuno, all’ingiustizia della morte - per il momento - si aggiunge il sopruso di un virus che, oltre ad ammalare i corpi, impedisce di vivere le relazioni in uno dei momenti in cui ce ne sarebbe maggiormente bisogno, rendendo più duro e solitario ogni distacco. E, nella pagina di Vangelo, è proprio la vicinanza delle persone in tempo di malattia e di morte ad essere messa a tema perché, dice il testo: “Le sorelle mandarono a dire a Gesù: Signore, ecco, colui che tu ami è malato”, come a dirgli: “In nome della nostra amicizia, vieni, prima che accada il peggio!”. Stupisce però che l’Amico non si precipiti a casa di Marta e Maria infatti, quando arriva, Lazzaro era “già da quattro giorni nel sepolcro”, ed entrambe le donne - per il momento - si ritrovano a pronunciare la medesima amara constatazione: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”.

Osservazione che abita i pensieri di ogni credente, quando si trova a vivere situazioni analoghe a quella delle due sorelle: “Dio, ma dove sei? Possibile che, quando ho bisogno del tuo aiuto, arrivi sempre in ritardo?”. E con la rianimazione del cadavere di Lazzaro, Gesù sembrerebbe voler rimediare al Suo indugio anche se, in verità, non convince: sia perché dopo qualche mese o anno, Lazzaro sarebbe andato comunque incontro alla morte, sia perché a nessuno di noi verrà mai restituito un caro defunto. Questa pagina però, riletta in tempo di Coronavirus, ci mostra che Gesù non è apatico alla disperazione di sorelle e abitanti del villaggio, che le sue lacrime non sono la finzione di un interprete teatrale, ma che la sua reazione è un reale con-patire il dolore di chi deve distaccarsi da una persona amata, ed è una vera condivisione della lacerazione interiore di chi è coinvolto nel lutto. Dio, l’Onnipotente e il Creatore, è così. Dice infatti il testo che Gesù “si commosse profondamente”, “scoppiò in pianto” e poi “ancora profondamente commosso”: dentro la solitudine che abita il dolore di ogni distacco, specie in questo tempo di interruzione forzata degli affetti, il Vangelo sta a dirci che ogni nostra lacrima è sempre “mescolata” alla Sua, e che ogni singhiozzo “risuona” nel Suo. E a partire da questa persuasione, il Vangelo fa seguire una parola precisa di Gesù: “Lazzaro, vieni fuori!”, che tradotto è come dire: “Lazzaro, non sei fatto per abitare il freddo di un sepolcro e il niente delle relazioni ma, il tuo destino, come quello di ciascun uomo e donna, è calore e abbraccio”. Tecnicamente, si chiama “comunione dei santi”. Così la parola di Gesù è stata capace di rigenerare vita nel corpo di Lazzaro, e ha riportato alla luce la verità di ogni legame, che nemmeno un virus bastardo potrà contraddire o impedirci di realizzare. Attendendo il tempo in cui potremo rinnovare l’abbraccio fraterno - per il momento - siamo chiamati a riscoprire l’abbraccio Paterno di un Dio che vuole contagiare ciascuno di fiducia, tenacia e affetto, e “tirarci fuori” da tutte quelle situazioni che mai avremmo voluto vivere. E lo farà, certamente, non più per un solo momento.

Paolo Tassinari