È già vittoria

Bebe Vio e Federico Morlacchi
Paralimpiadi: Bebe Vio e Federico Morlacchi i portabandiera dell’Italia a Tokyo - Foto Sir

Mentre continuano a scorrere le immagini dall’Afghanistan, immagini che ci interpellano e chiedono una risposta alla nostra umanità... c’è un’altra immagine di umanità che ci tocca. Tutt’altro argomento, tutt’altro scenario, ma è un’istantanea che parla alla parte migliore del nostro essere umani. Sono le immagini, e con esse il carico di emozioni, che arrivano di Giochi Paralimpici di Tokyo. Certo, come per le Olimpiadi di un mese fa c’è grande attenzione al risultato, al podio, al medagliere. In fondo è una gara. Ma gli atleti paralimpici, forse più di altri, ci insegnano un altro tipo di gara, di competizione e, in ultimo, di vittoria. È una gara con se stessi ancor prima che contro gli avversari. È il sacrificio quotidiano per migliorarsi. Non per diventare il più forte di tutti, ma per cercare il meglio di se stessi, partendo dai propri limiti, superandoli dove è possibile o imparando a conviverci. Ogni atleta che vediamo in questi giorni ha una storia incredibile, fatta di cadute e di difficoltà, di riscatto e voglia di rialzarsi. E va oltre il risultato oggettivo. Perché, per ogni foto di un atleta sorridente che morde la medaglia ci sono probabilmente centinaia di storie che hanno pari dignità e che non si trasformano in quel risultato, ma hanno comunque il sapore della vittoria per chi ha fatto un percorso di rinascita. Sarebbe bello se ognuno di noi, sportivo e no, con la competizione nel sangue o meno, imparasse da questi atleti. A vincere. A perdere, anche. Ma soprattutto a giocare la propria vita. Che è già una vittoria.