Padre Chiera: “È un grande dono poter lavorare con chi sta nelle periferie”

8xmille, una firma che fa bene e permette di realizzare tante opere sul territorio, come “Casa do menor”

padre renato chiera

Ottantun anni di vita, 56 di sacerdozio e 45 di presenza in Brasile: sabato 22 e domenica 23 luglio Padre Renato Chiera, fondatore della Casa do menor (con l'obiettivo di accogliere bambini di strada per offrir loro un futuro migliore) festeggia questi anniversari al Monastero di San Biagio di Mondovì - dove ha sede la Casa do menor Italia.

Abbiamo incontrato padre Renato per farci raccontare che cosa gli hanno insegnato questi anni e per ripercorrere con lui le emozioni e i sentimenti vissuti.

Padre Chiera sta per celebrare l’Eucarestia, è vestito con i paramenti liturgici brasiliani, dai colori vivacissimi. Rispecchiano il suo spirito. Pur nella sua autorevolezza è vivace, affettuoso, accogliente. Sa mettere i suoi interlocutori a proprio agio.

“Mi chiedi cosa ho vissuto in questi anni… Se provo a raccogliere le idee mi si affollano mille emozioni. Ecco, questi anni sono stati un voler amare, soprattutto i poveri. Io sento che sono stato un privilegiato perché Dio mi ha chiamato nel posto migliore che c’è, perché è il luogo in cui Gesù ha più bisogno, perché muore abbandonato, ucciso… Quando fui ordinato sacerdote, 56 anni fa, avevo assunto come slogan 'Non sono venuto per essere servito ma per servire'. È stato un grande dono essere chiamato a lavorare per Gesù crocifisso che soffre per le persone delle grandi periferie”.

Come ha cominciato ad occuparsi dei meninos de rua?

Quando arrivai in Brasile mi capitò di assistere all’omicidio di un ragazzo che avevo accolto; e questo mi segnò profondamente. Come mi interpellavano fortemente le richieste dei ragazzi che venivano a bussare alla mia porta: “Padre, noi non vogliamo morire; voi non fate niente, ci lasciate uccidere tutti…”.  Sentii che quello era il grido di Dio, era Dio che mi diceva: “Renato, sei venuto qua non per seppellire i ragazzi ma perché i ragazzi avessero vita in abbondanza. Per i primi anni sono stato parroco, ho fatto evangelizzazione. Dal 1986 sono accanto a quelli che io chiamo “Figli del Brasile non amati”. Li accolgo da quando sono bambini, ma accolgo anche gli adolescenti, i giovani… Adesso anche gli adulti, perché se prima c’erano i ‘bambini di strada’ adesso c’è un ‘popolo di strada’. Sono gli uomini e le donne vittime del crak.

L'intervista completa su La Fedeltà di mercoledì 12 luglio 2023