La Cina vista da vicino

Enrico Perlo racconta il Paese idealizzato negli anni della sua militanza politica; l’autore, originario di Cuneo, ha lavorato in Asia per oltre 25 anni per una multinazionale

 La presentazione del libro di Enrico Perlo (che si è tenuta giovedì scorso alla trattoria “I matti” di via Statuto) si è tradotta in una curiosa rimpatriata di quel variegato mondo che una quarantina di anni fa costituiva  la “sinistra extraparlamentare cuneese”. Del resto Enrico Perlo, che faceva parte di questo mondo, lo ha subito detto, commuovendosi: “Questo libro l’ho scritto per tornare a voi, per portare a voi la mia esperienza, per chiudere un cerchio”. Perlo ha vissuto in Cina per oltre 25 anni lavorando per  una multinazionale, ma la sua passione per questo mondo data da molto prima, dagli anni della sua militanza politica. Il suo libro non racconta la Cina in modo organico e neppure fa un’analisi di questo Paese che sta assumendo un ruolo sempre più “pesante” a livello mondiale; Perlo si limita a delle “pennellate”, a “illuminare degli scorci” - come dice egli stesso -, dei brandelli, dei dettagli, rendendoli visibili ma separati dal complesso. Grande appassionato di arte, Perlo ha seguito l’evoluzione dell’arte cinese e nel suo libro raccoglie testimonianze di artisti che hanno fatto l’avanguardia cinese degli Anni ‘90 e che oggi raccolgono importanti riconoscimenti internazionali. Nel primo capitolo Perlo racconta come la Cina gli si è presentata. È curioso cogliere l’impatto che possono aver fatto in un “ex sessantottino” (innamorato, all’epoca, della teoria maoista), gli effetti di quelle teorie. “Era una Cina nel pieno della trasformazione da una società totalmente comunista a una società che si avvicinava al libero mercato - ha ricordato giovedì -. I contadini potevano vendere una parte della merce che producevano; cominciava ad esserci un minimo di ristorazione pubblica e piccoli mercati”. Ma ricorda con ironia i sistemi di difesa del Sistema: “Se dovevi comprarti una camicia ne trovavi cinque appese  al muro; quattro a quadri colorati e una in stile maoista; tu chiedevi quelle a quadri e ti dicevano invariabilmente che erano esaurite; allora ti accontentavi di quella in stile maoista, che è una magnifica camicia...”. Racconta che i cinesi non disponevano di moneta, ma venivano pagati con dei buoni di acquisto e usavano quelli. “L’impatto con la Cina è stato un po’ duro, al punto che dopo un po’ ho sentito l’esigenza di difendere le mie radici europee. Anche se per altri aspetti ho apprezzato moltissimo la Cina (e lo si capisce dalla commozione che lo assale nel ricordare certi momenti -ndr): la  gente aveva un rapporto splendido con noi, di onestà e di amicizia”. Il libro di Perlo spazia anche su altri Paesi asiatici dove lo ha portato la sua curiosità e volontà di conoscere, e scopriamo così che, in Giappone in particolare a 

Tokyo, l’ex sessantottino apprezza in particolare la modernità dell’architettura urbana, le metropolitane che attraversano le città senza curarsi dell’impatto ambientale come succede invece da noi in Italia, dove non si può fare nulla, perché ad ogni annuncio di nuova infrastruttura, subito arriva una protesta perché ci sono resti archeologici da salvaguardare oppure perché la metropolitana imp

atta con il territorio... “Come si cambia”... cantava Fiorella Mannoia.

"Entrate e uscite tra la Cina e da me stesso" di Enrico Perlo - Edito da L'Artistica di Savigliano con la collaborazione de "La Buona Luna" - 

L'articolo su La Fedeltà di mercoledì 30 luglio.