Veronica Antal

Testimoni del Risorto 16.07.2014

Farà piacere alle tante donne della Romania, che vivono tra noi come badanti o braccianti, sapere che per una della loro terra potrebbe essere vicino il giorno della beatificazione. Dal 2006, infatti, tutti gli atti del presunto martirio di Veronica Antal sono all’esame della Congregazione per le Cause dei Santi: il “processo” è stato avviato nel 2003 a furor di popolo, perché nella diocesi di Iasi nessuno ha il benché minimo dubbio che fu autentico martirio la sua morte violenta, avvenuta non già, o non soltanto, in difesa della propria dignità di donna, piuttosto in nome dei suoi valori religiosi di cui lei mai aveva fatto mistero. Anzi, dipendesse da loro, salterebbero tranquillamente il “gradino” intermedio della beatificazione, dato che, da più di cinquant’anni, la chiamano “santa Veronica”, in barba a qualsiasi procedura canonica. Sul luogo del martirio, come sulla sua tomba, si radunano assemblee imponenti, composte da giovani e anziani, cattolici e ortodossi, che le affidano le loro necessità. Pur così generazionalmente trasversale e interconfessionale, la devozione per questa semplice e umile contadina si è tradotta in “causa di canonizzazione” in modo così tardivo a causa della situazione politica, che non l’ha permessa prima. Veronica nasce il 7 dicembre 1935 nel Nord della Romania, a Nisiporesti, e della sua educazione religiosa è debitrice a nonna Serafina: essendo i genitori perlopiù impegnati nei campi, tocca all’anziana donna prendersi cura della fede dei nipoti e a giudicare dai frutti non c’è che da rallegrarsi con lei. Insieme, le trasmette anche il senso di laboriosità e già a quattro anni la impegna in piccole occupazioni: così a Veronica è meno faticoso, a sette anni, seguire i genitori nei lavori dei campi, pur frequentando regolarmente la scuola elementare nei mesi invernali. Uno sviluppo precoce e un’accentuata sensibilità sono le uniche caratteristiche particolari della bambina, che in nulla si differenzia dalle altre compagne: anche per lei mamma inizia a preparare la dote, cui Veronica contribuisce con i suoi lavori di cucito. Tutto fa prevedere, dunque, che il matrimonio rientri nei suoi progetti (o almeno così spera la mamma), anche se piccoli segnali di particolare predisposizione alle cose spirituali non tardano a manifestarsi. È però sui 16-17 anni che la vocazione religiosa esplode in lei con forza, facendole desiderare di entrare tra le suore del convento nel vicino villaggio di Halaucesti. Dire che mamma non ne è entusiasta è un eufemismo: le fa tutta l’opposizione consigliatale dal suo cuore materno, con l’unico risultato di irrobustire in Veronica il desiderio della vita religiosa. Che tuttavia deve fare i conti anche con il clima socio-politico che la Romania sta vivendo nell’orbita sovietica, con l’ateismo di stato che impone la chiusura delle congregazioni religiose. Veronica capisce che tutto questo, perlomeno, finirà con il ritardare la realizzazione del suo desiderio e allora si “adatta”, accontentandosi di coltivare la propria vocazione con uno stile di vita claustrale tra le mura di casa. All’interno della quale si prepara una cameretta per il suo raccoglimento e la preghiera, ma intanto diventa l’anima della vita pastorale della sua parrocchia: insegnando catechismo, animando il coro, visitando i malati, proprio come farebbe una suora. Così, infatti, qualcuno la chiama, per come vive e come veste, e la cosa non le dispiace affatto. Prima aderisce alla Milizia dell’Immacolata (quella di padre Kolbe), poi si iscrive al Terz’Ordine Francescano, infine emette privatamente il voto di castità. La sua spiritualità diventa robusta, nutrita di Eucaristia, illuminata dal rosario, sorretta dalla messa quotidiana nella chiesa di Halaucesti, distante otto chilometri da casa sua e che raggiunge ogni mattina, prima dell’alba con un gruppo di amiche. È purtroppo sola, invece, la sera del 24 agosto 1958, di ritorno da quella chiesa in cui nel pomeriggio è stata amministrata la cresima e per la quale lei ha lavorato sodo. Vicino ad un campo di granoturco è aggredita da Pavel Mocanu, un giovane del paese, che tenta inutilmente di violentarla (come attesterà l’autopsia) e che alla fine la uccide con quarantadue coltellate. Proprio in quei giorni Veronica sta leggendo la biografia di Maria Goretti (canonizzata soltanto alcuni anni prima) e a due amiche ha confidato che anche lei all’occorrenza si sarebbe comportata così. “Io sono di Gesù e Gesù è mio”, aveva scritto su un foglietto: per restargli fedele ha preferito la morte.