Suor Maria Laura Mainetti

Testimoni del Risorto 03.06.2015

Se è vero che fondamentali per lo sviluppo della personalità sono le esperienze fatte nei primi anni di vita, chissà quali effetti avrà avuto su Teresina il prendere gradualmente coscienza che mamma era morta per dare la vita a lei, sua decima figlia. E questo, forse, spiega anche perché cresca con una spiccata generosità e con la tendenza a farsi in quattro per le sue compagne, che, non a caso, la chiamano “santa Teresina”. Un bel giorno un sacerdote, in confessione, la invita a fare “della tua vita una cosa bella per gli altri”: tanto basta per scoprire in questa frase il progetto di Dio su di lei e di sentirsi così chiamata ad una donazione totale. Che realizza a 18 anni, entrando nella Congregazione delle Figlie della Croce, la cui regola di vita è “mettersi alla scuola di Gesù” che si è dato a noi fino alla morte in croce: sorprendente sarà il modo con cui lei incarnerà ciò fino al dono totale. Dopo i primi voti nel 1959, inizia la sua carriera di insegnante, passando con disinvoltura dall’insegnamento nella scuola elementare a quello nella materna, per terminare poi come educatrice tra le giovani del pensionato che le suore gestiscono a Chiavenna (Sondrio). Pur sapendo di dover “cercare e trovare Gesù tra i poveri”, le sue attenzioni sono rivolte in particolare ai giovani. Perché, per lei, sono essi, così fragili, disorientati, plagiati, i veri poveri di oggi: non perde occasioni per conoscere il loro mondo, il loro linguaggio, la cultura giovanile; si interessa alle diverse esperienze, non si tira mai indietro davanti a nessuna proposta in loro favore; partecipa attivamente alla catechesi, all’oratorio, ai campi scuola, alle riunioni di ex alunni, offrendo ascolto e attenzione negli incontri personali. Adesso dicono che questa suorina minuta e poco appariscente credesse fortemente nella “legge del seme”: “Seminava sorrisi, spargeva tenerezza e amore a profusione, ovunque andasse... questa era la sua felicità: dare e darsi senza misura”, dice chi l’ha ben conosciuta ed a cui non sfugge neanche il suo stile: “Non si imponeva in nulla. La sua vita era come un accenno. Se non eri attenta, non coglievi il suo cuore”. Sul suo diario hanno trovato scritto: “La mia missione: essere segno dell’amore di tenerezza del Padre in comunità, nella scuola, tra le ragazze”. E le testimonianze fin qui raccolte sembrano dire che ci sia riuscita. Anzi, affermano che “era persino esagerata nel vedere a ogni costo il lato buono delle persone” e che “faceva il bene in silenzio, senza dare importanza, quasi di sfuggita”. Questa suora di frontiera, che “senza chiasso, nell’umiltà, si portava là dove i poveri, tutti i tipi di poveri, ne avevano bisogno”, a inizio giugno 2000 è cercata da una ragazza poco più che sedicenne, spalleggiata da due amiche, che afferma di essere incinta a causa di una violenza sessuale subita in famiglia, per celare la quale vuole o deve abortire. Scontato che questa suora “pro vita” diventi subito sua alleata e che, per scongiurare l’aborto, le offra il suo incondizionato sostegno e perfino ospitalità nella propria casa, almeno fino al termine della gravidanza. Il 6 giugno la ragazza si fa nuovamente viva, chiedendole un appuntamento: stanno ormai scendendo le ombre della notte, ma poco importa, dato che la carità non ha orologio. Riesce a portarla in un luogo appartato, dove dice di aver nascosto i bagagli con i quali traslocare a casa della suora, di cui accetta l’ospitalità; invece, nel posto convenuto, le tre ragazze assaliscono la religiosa, che tramortiscono a colpi di pietra e finiscono con 19 coltellate. Diventata la vittima sacrificale di un rito satanico in piena regola, in cui le tre giovani, per noia e per assoluta mancanza di valori, da tempo si stanno esercitando, la suora cade in ginocchio e in questa posizione la ritroveranno il giorno dopo, ormai cadavere. Le assassine dovranno poi ammettere di essere state colpite non dalla vista del sangue e neppure dalla forza bruta che esse stesse non immaginavano di avere, piuttosto dalle parole di perdono che la loro vittima pronuncia in punto di morte, preoccupata unicamente del male che le giovani con quel gesto fanno a se stesse. Così suor Maria Laura Mainetti muore pregando e perdonando e in queste sue ultime parole si radica il percorso di conversione e di riscatto intrapreso dalle tre ragazze, come anche la miriade di iniziative benefiche che nel suo nome sono sorte, in Italia e nel mondo. Anche la Chiesa si sta interessando di lei ed ha avviato le procedure per proclamarla beata e martire della fede.