Pietro Uccelli – 2

Testimoni del Risorto 29.08.2018

"La situazione è nient’altro che terribile”, scrive il padre
Pietro
Uccelli, non appena tocca con mano le drammatiche condizioni in cui è chiamato a vivere e la necessità di far fronte alle situazioni disperate causate dalla guerra civile e dagli assalti dei briganti, appena pochi anni dopo la rivoluzione dei boxers che si è lasciata alle spalle migliaia di morti ammazzati e anche autentici martiri. Le conversioni arrivano, anche se non così numerose com’egli si augurerebbe, e deve dividersi tra le nuove comunità, che poi altro non sono che gruppuscoli isolati di neoconvertiti, che è necessario visitare spesso per confermarli e irrobustirli nella fede. Il padre Pietro non sta con le mani in mano e sollecita dall’Italia il periodico invio in gran quantità “delle medicine più comuni, cioè: chinino, magnesia, pillole per fare acqua disinfettante, lisoformio, pillole per la tosse, per il mal di ventre, per il mal di denti, vaseline, zolfo per far medicine contro la scabbia, qualche medicina corroborante da usare nella convalescenza.” Con le quali, aggiungendo qualche nozione di medicina e soprattutto tanta tenerezza, cura le ferite del corpo, accarezzando anche le anime. Il fondatore è così entusiasta del suo operato che….lo richiama in patria: ne ha bisogno a Vicenza per la formazione dei futuri missionari, che devono imparare il suo stile di prossimità e si devono esercitare ad incarnare il Vangelo nella carità. La sua partenza dalla Cina è salutata da lacrime e riconoscenza, come quando lo trasferivano di parrocchia nella diocesi di Reggio: gli organizzano un principesco pasto di addio, riceve da parte dei dignitari un’infinità di regali pregiati, per il suo ultimo viaggio in terra cinese si forma un corteo di cinque chilometri che il padre Pietro, confuso e mortificato, percorre su una lettiga fornitagli dal mandarino. Se da tutto questo si può misurare la stima e la riconoscenza che si è guadagnate in 13 anni, è sicuro che, messo piede a Vicenza, non ha tempo per dormire sugli allori: deve da solo badare ad una cinquantina di aspiranti missionari, alcuni dei quali anche molto vivaci, per cui deve raccomandare di continuo: “"Fate a modo. Mi raccomando, da bravi, fate a modo. A far bene è meno fatica che a far male, ve lo dico io". Lavoratore instancabile, riprende a dare una mano in diocesi, rendendosi disponibile a confessare e predicare. Dicono sia specializzato nei “pesci grossi”, cioè in conversioni “di peso” ed è ricercatissimo soprattutto da chi non ha troppa familiarità con la chiesa: forse per la sua amabilità, o magari per la sua delicatezza, o piuttosto ancora per la profondità dei suoi consigli, mentre c’è chi giura di avergli sentito dire parole di carattere profetico, che poi puntualmente si sono avverate. Come riesca a conciliare il suo gravoso incarico di formatore con l’intensa direzione spirituale, le lunghe ore in confessionale e la continua disponibilità verso chi cerca anche solo una parola buona o un consiglio, lo sa solo Dio. C’è però da dire che il padre Pietro ha trovato in San Giuseppe un formidabile alleato: lo ha scoperto in Cina, l’ha ritrovato in Italia e il santo, laggiù come qui, non si smentisce mai. San Giuseppe, insieme alla fede del missionario, risolve un sacco di problemi, a cominciare dal cibo per i suoi aspiranti: al padre Pietro basta scrivere su un foglietto “patate” o “pane” e metterlo sotto la statua del santo, per vedersi recapitare a tempo di record la quantità di viveri desiderata. A San Giuseppe attribuisce anche tutte le cose prodigiose che avvengono sotto i suoi occhi e tra le sue mani; il bello è che però avvengono anche quando il santo si “distrae” un attimo: bambini guariti solo che il missionario sfiori un loro indumento; malattie sparite dopo una sua benedizione; serenità e pace ritrovate, insieme a situazioni che si appianano, dopo un solo spruzzo di acqua benedetta con il suo famoso aspersorio. Logico che la fama di santo lo accompagni ovunque e cresca soprattutto in occasione della morte, avvenuta il 29 ottobre 1954. Tutta Vicenza viene a salutarlo, soprattutto i più “lontani” e i tanti da lui beneficati, che continuano a crescere di numero perché i prodigi sulla sua tomba non sono cessati. Dal 19 maggio 2018 è stato dichiarato venerabile e, con il riconoscimento di un miracolo, potrebbe presto essere proclamato beato.

(2 - fine)