Luigia Mazzotta

Testimoni del Risorto 19.09.2018

L’unico primato che detiene è assai poco invidiabile e auspicabile. Perché di Luigia
Mazzotta tutto si può dire, tranne che abbia goduto di buona salute, per la serie impressionante di malattie che si abbattono su di lei: appena nata, si ammala di spasmofilia; a cinque mesi di febbre malarica; durante la terza elementare, superata la malaria, si ammala di insufficienza polmonare e di tubercolosi ossea; a dodici anni è colpita da un nuovo attacco tubercolare che la fa diventare sorda; dall’età di quattordici anni conosce una serie crescente di infermità che vanno dalla tubercolosi alla meningite, ad una serie di malattie, una più grave dell’altra. E dato che la malattia in sé non ha mai fatto diventare santo nessuno,  casomai il modo con cui la si vive e la si offre, in questo, appunto, è da ricercare la santità di questa giovanissima leccese, nata il 9 luglio 1900 in un tugurio privo di acqua e luce, adiacente un orto recintato, all’interno di una poverissima famiglia, primogenita di un povero bracciante analfabeta, che con il suo pur massacrante lavoro a stento riesce a sbarcare il lunario, e di una donna pia e umile, di modesta estrazione sociale.  Il destino la potrebbe condannare ad essere una delle tante “malatine”, perennemente invalide, destinata a spegnersi nel proprio letto, senza aver minimamente assaporato, anche per poco, la bellezza della vita; con la forza di volontà, una buona dose di coraggio e, certamente, la grazia di Dio riesce a fare della sua vita tribolata un autentico capolavoro. Tutto per lei comincia con un grande attaccamento all’Eucaristia: raccontano che il 1° aprile 1906 (quindi a sei anni non ancora compiuti), sfuggendo all’attenzione di mamma impegnata nell’assistenza delle altre figlie malate, Luigia abbia raggiunto da sola la chiesa parrocchiale, si sia aggregata ad altre bambine, abbia indossato il velo bianco e abbia ricevuto la comunione, ritirando anche l’attestato del precetto pasquale.  Ricevere Gesù è sempre stato il suo sogno più grande e proprio non riesce a spiegarsi gli scrupoli di mamma per questa sua iniziativa e per il fatto che prima non si fosse confessata: deve intervenire il parroco, a rasserenare mamma e a spiegare l’innocenza del gesto e la fede dimostrata dalla bimba, che inizia così prima del tempo il corso di preparazione alla prima comunione insieme a compagne molto più grandi di lei, con le quali il successivo 16 luglio riceverà “regolarmente” il sacramento che tre mesi prima aveva “rubato”. Si tratta, forse, dell’unico avvenimento degno di nota, compiuto dalla bimba in uno dei rari momenti di tregua dalle sue frequenti malattie, che piano piano la crocifiggono a letto o la confinano in casa. Esuberante e piena di vita, per niente succube dei suoi malanni, con essi deve piuttosto imparare a convivere, trasformandoli in momenti di crescita spirituale. All’impotenza della medicina a farle riottenere la salute si contrappone così una illuminata direzione spirituale, che le insegna a tutto accettare, tutto trasformare e tutto offrire. Luigia viene condotta come per mano a comprendere il valore salvifico della sofferenza se vissuta in unione a Gesù e se, attraverso Lui, offerta al Padre. Il primo “miracolo” avviene in lei: mortificata nel suo slancio di apostolato e limitata dalla malattia anche solo nell’autonomamente muoversi da casa, quasi senza accorgersene diventa punto di riferimento per i tanti che vengono da lei a cercare un consiglio, un aiuto spirituale, un sostegno morale. Ha dell’incredibile la sua capacità di consolare, soccorrere, confortare con un semplice consiglio o una preghiera. Gradatamente preparata e saggiamente educata dal direttore spirituale, raggiunge infine il culmine della sua ascesi con l’offerta della vita in funzione riparatrice, trasformandola in un’offerta viva e santa. Muore il 21 maggio 1922 e anche solo dalle migliaia di persone che partecipano ai funerali si capisce l’incredibile raggio di azione di questa povera invalida neppure ventiduenne e la quantità di bene che è riuscita a seminare in tanti cuori. Già conosciuta in vita come “la santa di Lecce”, i suoi conterranei non aspettano certo il giudizio della Chiesa per ribattezzarla subito “la beata Luigia”, tanto che neppure tre anni dopo la morte (fatto eccezionale per l’epoca) la sua diocesi avvia il processo di beatificazione, sospeso per la guerra e ripreso poi nel 1963, e che il 15 marzo 2008 è approdato al riconoscimento della venerabilità. Si è ora in attesa del riconoscimento di un miracolo che possa portare alla beatificazione.