Non c’è più tempo

Non c’è davvero più tempo da perdere. E forse è già troppo tardi. Forse possiamo soltanto limitare i danni, cercare di invertire la tendenza, attenuare la parabola autodistruttiva che abbiamo innescato. Ma va fatto. Subito. Purtroppo però per tanti di noi, quando si parla di cambiamenti climatici, lo si fa ancora con la leggerezza di chi parla del “meteo del giorno” un po’ come lo farebbe al bar chiacchierando delle mezze stagioni che non ci sono più. Oppure se ne parla in termini catastrofici, ma “fuori tempo”, a cose fatte, per invocare stati di calamità, e conseguenti aiuti a chi in quel momento - e a turno - è colpito dalla catastrofe, che sia una bomba d’acqua o la siccità, il gelo o il deserto che avanza. In questi giorni abbiamo sentito l’intervento di Mario Draghi alla tavola rotonda delle Nazioni Unite dove, rispetto al clima, ha parlato di “un’emergenza come la pandemia” invocando azioni immediate, rapide e su larga scala. E anche dagli Stati Uniti arriva l’appello a lavorare insieme. Certo. Ma anche il tempo delle parole sta scadendo, bisogna agire. Lavorare insieme, e fare pressione su quei paesi che non sono affatto interessati a lavorare per limitare le emissioni, a chi ancora non crede che l’emergenza climatica sia un’emergenza. E poi c’è il lavoro che tutti noi possiamo e dobbiamo fare, anche nel piccolo. Le proiezioni delle condizioni di salute del pianeta dei prossimi anni sono immagini da film del genere catastrofico. Forse ci siamo abituati così tanto agli effetti speciali da credere che tutto sia finzione. E ci si può assuefare anche alla paura. E intanto la sabbia nella clessidra scorre.