Ue: il prezzo delle occasioni mancate

EUROPA rubrica di Franco Chittolina

La storia dell’Unione europea nel corso dei suoi settant’anni di vita è stata ricca di successi, ma anche zavorrata da occasioni mancate. Sono state un successo la salvaguardia della pace all’interno delle sue frontiere, la ricostruzione di una regione ridotta in macerie dalla Seconda guerra mondiale, la creazione di un grande mercato unico, l’invenzione dell’euro, la riunificazione avanzata del continente, la straordinaria solidarietà dimostrata nel contrasto alla devastazione della pandemia e molto altro ancora.
Queste conquiste non devono però farci dimenticare che, da una parte, alcune di queste erano fragili o sono rimaste incompiute e, dall’altra, che molte occasioni sono state mancate nel processo di integrazione europea. A cominciare dalla mancata creazione del 1954 della Comunità europea della difesa (Ced), di cui oggi avremo estremo bisogno, per continuare con progressivi allargamenti senza una chiara visione politica condivisa: vale per il Regno Unito nel 1973 e per Paesi dell’ex-Unione sovietica, come nel caso di Polonia e Ungheria in particolare, nel primo decennio di questo secolo.
Abbiamo mancato anche la straordinaria occasione di creare un nuovo spazio di democrazia e di pace, come ci era offerta dall’abbattimento del Muro di Berlino nel 1989 e dalla fine della “guerra fredda”, oggi ritornata più calda che mai; per non parlare dalla lezione impartita da Brexit, una vicenda triste ma anche liberatoria per proseguire più spediti sulla strada verso l’Unione politica.
Adesso la storia frusta l’Unione europea perché trovi coraggio e determinazione per rispondere alla sfida lanciata dalla Russia non solo all’Ucraina, ma anche all’Unione europea e all’Occidente e alle sue democrazie.
Viene da dire che se non si fa l’Europa federale adesso, chissà quanto si dovrà ancora aspettare, sempre che l’Unione europea ci sia ancora quel giorno troppo lontano.
Qualche segnale di coraggio gli scorsi giorni è arrivato dall’Ue: dal Parlamento europeo che ha condannato “senza se e senza ma” l’aggressione della Russia, dalla Commissione che è intervenuta con importanti sostegni finanziari e dal Consiglio dei ministri che ha immediatamente mandato in esecuzione una Direttiva per aprire le frontiere ai milioni di profughi e assicurare loro una protezione temporanea sollevandoli da fastidiose procedure burocratiche.
Qualche passo avanti lo ha fatto anche il Consiglio europeo della settimana scorsa, unito sul sostegno alla resistenza dell’Ucraina, ma ancora diviso su una politica energetica comune.
L’Unione europea si è anche mostrata straordinariamente compatta nel comminare alla Russia sanzioni di una severità mai vista, pagandone il prezzo e correndo anche rischi da parte di un aggressore che non ha rinunciato ad agitare la minaccia nucleare di fronte anche agli inediti impegni militari assunti dai Paesi Ue.
Resta adesso da verificare quanto queste prime reazioni a caldo reggeranno nella durata e quali nuove iniziative innescheranno tanto sul versante umanitario, che si annuncia sempre più drammatico, che su quello della sicurezza e della difesa con un nuovo ruolo da guadagnare per l’Ue in seno alla Nato e su quello economico, con nuovi strumenti per sostenere una crescita che si stava appena riprendendo dopo gli sconvolgimenti della pandemia, affrontando insieme il futuro della politica energetica senza rinunciare, nella misura del possibile, alla transizione ecologica verso la quale eravamo avviati.
L’Unione europea ha l’occasione, nel dolore del parto, di ridare vita e nuovo vigore a un’Europa democratica e più accogliente, tenendo aperta la prospettiva di una futura adesione dell’Ucraina, mentre milioni di suoi cittadini profughi già possono considerarsi nella sostanza, almeno temporaneamente, cittadini dell’Unione.