Nella diocesi del Papa si ascoltano i fedeli prima di nominare i parroci

Una novità che altre Chiese locali dovrebbero prendere in seria considerazione

Papa Udienza
(foto Vatican Media/SIR)

Forse è sfuggito a tanti. E dunque vale la pena tornarci su. Stiamo parlando della nuova Costituzione apostolica “In Ecclesiarum Communione”, in vigore il 31 gennaio scorso, con la quale Papa Francesco ha riformato l’organizzazione della diocesi di Roma di cui è vescovo. Il documento in questione è un contributo importante per ripensare la parrocchia e, in particolare, le modalità con cui vengono nominati i parroci. E non solo nella diocesi di Roma.

Ne parliamo ora, in tempi non sospetti, lontano da nomine di nuovi parroci, per evitare strumentalizzazioni.

Lo spunto viene dalla rivista Jesus che, nel numero dello scorso febbraio, ha pubblicato le considerazioni di un lettore sul tema.

La nuova Costituzione apostolica della diocesi di Roma “stabilisce una diversa prassi per la nomina dei parroci: il vescovo ausiliare dovrà istruire la pratica per la nomina del nuovo pastore verificando le condizioni della parrocchia, valutando le sue esigenze e il lavoro svolto dal parroco e dal viceparroco per poi valutare quale sia la persona più adatta per proseguire tale lavoro e rispondere alle esigenze della comunità (e già questa sembra una buona prassi rispetto a certe nomine che appaiono fatte tirando a caso, come se all’arrivo di un nuovo parroco ogni comunità dovesse ricominciare da zero il suo cammino).

Ma la vera novità - scrive nella lettera a Jesus Dario Valli - è espressa in quattro parole successive dove si dice che il vescovo dovrà ‘ascoltare il Consiglio pastorale’. Ecco: l’ascolto del Consiglio pastorale - cioè dei laici, dei rappresentanti dei fedeli - è una specie di rivoluzione copernicana. Una novità messa per iscritto dal Papa per la sua diocesi che altre Chiese locali dovrebbero prendere in seria considerazione.

Invece fino ad oggi, generalmente, il trasferimento di un parroco e la nomina del suo successore sono stati avvolti nel più stretto riserbo clericale e la comunicazione ai fedeli viene data sempre e solo a cose fatte”. Provocando mugugni, incomprensioni, a volte vere e proprie “rivolte”, con raccolte di firme e lettere al vescovo (situazioni che si sono verificate anche nella nostra diocesi negli ultimi anni, in alcune occasioni).

“Che il popolo di Dio possa esprimere un parere sulle necessità della comunità parrocchiale mi sembra un buon passo verso una Chiesa più normale” conclude il lettore.

E, aggiungiamo noi, verso una Chiesa veramente sinodale. Cioè una Chiesa che non limita la sinodalità a un determinato periodo, il Sinodo, ma la assume come stile a tutti i livelli, anche nella nomina dei parroci. Perché la sinodalità è davvero il tema centrale della Chiesa del terzo millennio, come Papa Francesco ha avuto più volte modo di sottolineare. Un cammino che tutti i battezzati sono chiamati a fare avanzando insieme. Un cammino che richiede creatività, coraggio di cambiare (“Basta con l’indietrismo” ha detto domenica 28 maggio Francesco durante l’omelia di Pentecoste) e un lungo apprendistato.

Che la nuova Costituzione apostolica contenga cambiamenti significativi nella prassi della Chiesa lo fa notare anche il direttore di Jesus commentando la lettera.

“In effetti la nuova procedura per la nomina dei parroci è interessante: come giustamente sottolinea il lettore, richiede un preciso discernimento sulla situazione della parrocchia e prevede un coinvolgimento ‘collegiale’ anche del Consiglio pastorale. L’idea di fondo, mi pare, è che le comunità cristiane non sono tutte uguali e che ciascuna ha proprie caratteristiche, carismi, ricchezze e povertà. E il ‘sensus fidei fidelium’ (il senso di fede dei fedeli) è un prezioso strumento per conoscere queste peculiarità.

Per inciso, segnalo anche che Papa Francesco rende ‘obbligatorio’ il consiglio pastorale per le parrocchie della diocesi di Roma e lo definisce ‘organismo ordinario della comunione ecclesiale, del discernimento comunitario e della corresponsabilità’”.

Sì, quella corresponsabilità laicale tante volte richiamata, ma spesso ridotta a parola vuota.

La Costituzione apostolica “In Ecclesiarum Communione” rappresenta dunque una novità importante - per ripensare la parrocchia e alcune prassi consolidate - a cui dovrebbero ispirarsi tutte le diocesi.