Proseguono le riflessioni con la rubrica “Parole di Pace”, in collaborazione con l’Agd, agenzia giornali diocesani di Piemonte e Valle d’Aosta. In ogni puntata (questa è la quinta) una voce del territorio.
Risulta doloroso e aberrante trovarsi costretti, ancora nel 2024, a preghiere e suppliche di pace per mettere fine a decine di focolai nel mondo che perseverano incessantemente nel generare sofferenze, morti e distruzioni. Davanti ai nostri occhi abbiamo quotidianamente immagini di guerra, molte delle quali hanno strette connessioni (sia per le cause, più ancora per gli effetti) con il cibo. Già l’enciclica Laudato si’ esprimeva chiaramente questi legami perversi; tuttavia, la voce di Papa Francesco (ovvero l’unico che a livello globale condanna fermamente ogni atto di guerra senza se e senza ma) continua, ahimè, ad essere del tutto inascoltata.
Ancora nel XXI secolo, infatti, si combatte per l’annessione di territori e quindi anche per il controllo della produzione alimentare a questi connessa; ciò risulta anacronistico e grottesco, ma è la realtà dei fatti. Aggiungo, questo aspetto potrà solo che aggravarsi per via di una crisi climatica che fa del riscaldamento globale, della siccità e della desertificazione le sue principali conseguenze. Su questo fronte si stima che nei prossimi decenni ci saranno decine di milioni di emigranti climatici che dovranno spostarsi per non morire di fame.
È altresì vero che, in un mondo sempre più globalizzato e profondamente interconnesso, gli effetti di una guerra possono avere ricadute devastanti anche in territori molto distanti. E questo riguarda soprattutto il commercio di derrate alimentari. L’esempio lampante è stato il blocco delle esportazioni del grano ucraino e le conseguenti carestie in diversi Paesi del Medio Oriente.
Attraverso le sue infinite connessioni il cibo finisce così per divenire strumentalizzato anche in campo bellico. E questo ha del paradossale. Da quarant’anni Slow food è in prima linea nella valorizzazione delle culture gastronomiche di tutto il mondo. Ciò che da sempre caratterizza il nostro movimento è la tutela della biodiversità, intesa sia come patrimonio gastronomico fatto di prodotti e ricette, sia come pluralismo di culture, mestieri e individui che custodiscono saperi e sapori di inestimabile valore. Se c’è una cosa che abbiamo capito grazie al nostro impegno decennale è che attraverso la gastronomia non è possibile alimentare una cultura di guerra e di odio. Il cibo è contaminazione, meticciato e condivisione per sua stessa natura. Il cibo valorizza le diversità e non le discrimina. Il cibo non conosce confini e non deve generare alcun tipo di sofferenza.
Ecco perché il più viscerale senso di pace, che sono convinto essere insito in ognuno di noi, può essere alimentato da una corretta e sana educazione alimentare. Conoscere le diverse culture alimentari può divenire uno strumento con cui comprendere e rispettare gli elementi distintivi e più intimi delle società. E, soprattutto, il valore di un cibo buono, pulito e giusto deve essere riconosciuto da tutti, perché sinonimo di felicità, appagamento, cura e giustizia in ogni dove.
Carlin Petrini