Don Edoardo Poppe

Testimoni del Risorto 04.06.2014

Da papà eredita l’onestà e la passione per il lavoro, da mamma la fede profonda e la capacità di farsi ascoltare anche dalle “teste dure”. Terzo degli undici figli di un fornaio, dà il più grande dispiacere a papà quando gli confessa di volersi far prete e di non poterlo affiancare nel lavoro del forno, che questi sarebbe disposto ad ingrandire se potesse contare sul suo aiuto. “I figli non sono nostri”, commenta quel padre, ricco di fede, lasciandolo andare in seminario, e sarà premiato con altre sei vocazioni: anche l’altro figlio sarà sacerdote, mentre cinque figlie saranno suore. Ha appena sedici anni quando papà muore, stremato dalla fatica; a lui, che vorrebbe rientrare a casa per aiutare ad allevare i fratelli, mamma confida che papà sul letto di morte si è fatto promettere che anche a costo di qualunque sacrificio gli avrebbe permesso di continuare il seminario. E si mette a sgobbare lei, per lasciar partire anche gli altri sei. Edoardo viene ordinato prete il 1° maggio 1916, ma ha passato più tempo in caserma che in seminario. Nel 1910 è partito per il servizio militare di leva ed ha vissuto due anni di “inferno”, molestato soprattutto da quando si è sparsa la voce che vuole farsi prete. Nel 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale, è stato nuovamente arruolato e solo un anno dopo è riuscito ad aver la dispensa. Non sono stati, tuttavia, anni inutili, sia perché bene o male è comunque riuscito a studiare, ma soprattutto perché nel frattempo “conosce” tre persone che gli cambiano la vita. Il primo è sicuramente San Luigi Grignion de Monfort, ai cui scritti si avvicina con iniziale titubanza e non senza difficoltà, ma che alla fine gli trasmette un grande amore per la Madonna; poi Teresa di Lisieux, all’epoca neppur ancora beata, che lo incanta con la sua “piccola via” e la sua incondizionata offerta all’amore misericordioso; infine padre Chevrier, che gli trasmette la sua predilezione per gli umili e lo affascina con il suo amore per la povertà. È senz’altro a quest’ultimo che si ispira nei primi mesi dopo l’ordinazione, quando è viceparroco nel quartiere operaio di Gand, dove la gente non va più in chiesa. Comincia così ad esercitare il suo ministero per strada e gli riesce di sgretolare il serpeggiante anticlericalismo, semplicemente andando di casa in casa a trovare i malati, attendendo gli operai all’uscita dalle fabbriche per un sorriso ed un saluto, oppure prendendosi cura dei loro figli abbandonati a se stessi. Peccato che il parroco, vecchio stampo, non condivida questo stile e gli impedisca di continuare, malgrado riconosca essere quello l’unico modo per riavvicinare la gente alla chiesa. Ubbidisce, com’è sua abitudine, e si butta sui ragazzi, dove il parroco gli lascia maggior libertà di movimento: con il suo stile immediato, fresco, all’avanguardia (per i tempi) incanta i suoi piccoli amici, pur non facendo loro sconti e invitandoli a puntare in alto, niente meno che alla perfezione cristiana. Abituato ad insegnare agli altri: “Siamo viaggiatori; ed è follia voler cercare quaggiù dimora e riposo”, forse chiede troppo al suo fisico, perché a maggio 1919 un primo infarto lo riduce in fin di vita. “Non ho mai chiesto di poter diventare vecchio, ma solo che gli uomini tornino ad amare Dio e che i sacerdoti si santifichino”. La santificazione dei sacerdoti è la sua grande scommessa, perché non è convinto che «il sacerdote santifica se stesso santificando gli altri», piuttosto occorre chiedere al prete di «santificare se stesso per santificare gli altri». Dopo aver intensamente lavorato per la propria santificazione, dedica il tempo della convalescenza e della forzata inattività ad educare i confratelli alla santità. Direzione spirituale, consigli, lettere: tutto gli serve per far crescere la santità del clero, insieme alle sue preghiere e all’offerta delle sue sofferenze e della sua stessa vita. La morte sopraggiunge improvvisa, per un ictus, il 10 giugno 1924: trentatré anni appena, sacerdote da otto, ha passato almeno la metà del suo sacerdozio a letto o seduto su una poltrona, eppure è il prete più amato e conosciuto delle Fiandre. “Ci si lamenta che ci sono troppo pochi sacerdoti. Non è giusto. La verità è che vi sono troppo pochi sacerdoti santi. Se con i nostri sacrifici ottenessimo anche un solo sacerdote santo ogni anno, in poco tempo il mondo intero sarebbe santificato”: egli prete santo lo era stato e la Chiesa con Giovanni Paolo II lo ha ratificato, beatificando don Edoardo Poppe il 3 ottobre 1999.