Ilia Corsaro

Testimoni del Risorto 01.02.2017

Non sempre la fede si trasmette in famiglia, perché l’itinerario verso Dio è sempre frutto di una scelta personale, che passa a volte attraverso sentieri tortuosi, per non dire strani, dove può anche accadere che siano i figli a facilitare l’accesso alla fede dei propri genitori. È quello che è successo a Ilia Corsaro, che nasce il 4 ottobre 1897 a Ercolano, in una famiglia culturalmente vivace, ma profondamente anticlericale, in cui il capofamiglia, illustre docente, professa apertamente la propria adesione alla massoneria, incorrendo “de facto” nella scomunica. Tutti i sette figli però vengono battezzati, non certo per convinzione dei genitori, quanto per non contrariare i nonni e qualche parroco si farebbe venire, oggi, più di un problema di coscienza sull’opportunità di una tal sacramentalizzazione. A far entrare la fede in famiglia ci pensa Italo, il primogenito, decisamente orientato verso l’ateismo scientifico, che un bel giorno capitola davanti alla fede coraggiosamente professata da certi suoi compagni d’università e la sua conversione è tale da coinvolgere anche la sorella tredicenne Ilia. Che, però, non si avvicina alla fede per contagio, men che meno per imitazione, ingaggiando anzi aperti dibattiti e sollevando sottili disquisizioni cui il fratello deve rispondere in modo tale da appagare i tanti interrogativi che l’adolescente si pone. Ed è così che il Vangelo e l’Imitazione di Cristo cominciano a prendere il posto dei romanzi che le piacciono tanto, arrivando a 17 anni alla gran decisione di chiedere la prima comunione. La farà a 20 anni, la domenica delle Palme 1917, e con l’Eucaristia è amore a prima vista, forgiato da lunghe ore di adorazione silenziosa e trasfuso in attenzione e dedizione al prossimo, per farsi anche lei “pane spezzato” come Gesù nelle mille opere di carità che non sfuggono a chi ha l’occhio attento e misericordioso, tanto più che tutti le riconoscono “l’inventiva del bene” di cui fa largo uso per evangelizzare Bagnoli e la diocesi di Pozzuoli con iniziative di catechesi che lasciano il segno. È don Dolindo Ruotolo (un carismatico sacerdote napoletano, di cui pure è in corso il processo di beatificazione) a fondare e offrire contenuti alla sua fede e non è certo un caso che sia anche questo prete ad aiutare la conversione di mamma nel 1919 e, l’anno successivo, ad accogliere l’abiura di papà alla Massoneria e ad assolverlo dalla scomunica. Ilia, ora che anche i genitori sono tornati alla fede, ha come sogno nel cassetto di entrare in clausura, per appagare il suo desiderio di silenzio e di nascondimento. Peccato che i suoi direttori spirituali non la pensino come lei, chiedendole invece di mettere a frutto tutta la sua vitalità apostolica. È un tira e molla, tra la sua recondita vocazione e il bisogno di una conferma “dall’Alto” verso la nuova strada che gli altri le indicano e che passa attraverso dubbi, incertezze, tentativi di vita in comune con l’amica del cuore, Isolla Mazzantini. Alla fine prevalgono i consigli spirituali, scanditi dalla frase biblica che il confessore sempre le ripete ad ogni incontro: “I piccoli hanno fame e non c’è chi spezzi loro il pane”. Per Ilia, poco a poco, si fa sempre più chiara la vocazione della sua vita: “Vivere all’ombra dei Tabernacoli e rigenerare nell’amore i più piccoli, i più poveri, quelli che nessuno ama”. Il 3 novembre 1928 nasce così la Congregazione delle Piccole Missionarie Eucaristiche: costantemente ispirate all’esempio del Poverello d’Assisi, vivono di provvidenza e si dedicano, a turno, notte e giorno, all’adorazione eucaristica, attingendo dal tabernacolo la forza per essere al servizio dei poveri e disponibili per la catechesi e l’evangelizzazione nelle zone periferiche di Bagnoli, sempre francescanamente povere, rifiutando cioè ogni forma di lavoro retribuito, almeno fino a che è loro possibile. Poi, docilmente, seguendo il desiderio del vescovo, si rendono disponibili all’insegnamento, pronte ad opere caritative a favore di ragazzi e giovani, impegnate nelle mense aziendali, negli orfanotrofi, nelle colonie e nelle piccole fraternità nei centri rurali, sempre fedeli al proposito di Madre Ilia: “Non cerchiamo mai di fare cose grandi: esse appaiono agli occhi degli uomini e scompaiono a quelli di Dio”. Mentre le sue figlie escono dalla Campania verso gli immigrati della Svizzera o le zone più povere del Brasile, la vita terrena di Madre Ilia si conclude dolorosamente per una grave forma tumorale il 23 marzo 1977. Nel 1997 viene avviata la causa di beatificazione e il 26 aprile 2016 è riconosciuta venerabile.