Un giorno di digiuno e di preghiera per la pace in Terra Santa

La Cei ha scelto martedì 17 ottobre, in comunione con i cristiani di Terra Santa secondo le indicazioni del card. Pierbattista Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme dei Latini. Le reazioni dei vescovi piemontesi al conflitto tra Israele e Hamas

Conflitto Israele Hamas - Bombardamenti su Gaza
Bombardamenti su Gaza City (foto AFP/SIR)

La Presidenza della CEI ha deciso di promuovere una Giornata nazionale di digiuno, preghiera e astinenza per la pace e la riconciliazione. La data scelta è martedì 17 ottobre, in comunione con i cristiani di Terra Santa secondo le indicazioni del cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme dei Latini, che a nome di tutti gli Ordinari di Terra Santa, ha chiesto alle comunità locali di incontrarsi “nella preghiera corale, per consegnare a Dio Padre la nostra sete di pace, di giustizia e di riconciliazione”.

In un momento di grande dolore e forte preoccupazione per l’escalation di violenza in Medio Oriente, l’invito della Presidenza della CEI è rivolto alle comunità diocesane perché aderiscano all’iniziativa. Per l’occasione è stato predisposto uno schema di preghiera.
Nel frattempo, domenica 15 ottobre, in tutte le celebrazioni eucaristiche, può essere adottata questa intenzione: “Padre misericordioso e forte: ‘tu non sei un Dio di disordine, ma di pace’. Spegni nella Terra Santa l’odio, la violenza e la guerra, perché rifioriscano l’amore, la concordia e la pace. Preghiamo”.

Il card. Pizzaballa: "In questo momento di dolore e di sgomento, non vogliamo restare inermi"

“Il dolore e lo sgomento per quanto sta accadendo sono grandi – afferma il card. Pierbattista Pizzaballa -. Ancora una volta ci ritroviamo nel mezzo di una crisi politica e militare. Siamo stati improvvisamente catapultati in un mare di violenza inaudita. L’odio, che purtroppo già sperimentiamo da troppo tempo, aumenterà ancora di più, e la spirale di violenza che ne consegue creerà altra distruzione. Tutto sembra parlare di morte. Ma in questo momento di dolore e di sgomento, non vogliamo restare inermi”.

Il neo-cardinale appena rientrato in Israele da Roma ha commentato ai microfoni di Tv2000 la strage di bambini nel kibbutz Kfar Aza compiuta da Hamas: “Sono barbarie ingiustificabili, inaccettabili, moralmente da rifiutare. Esprimiamo solidarietà alle famiglie che hanno perso questo persone condannando in maniera inequivocabile una cosa del genere che non ha comprensione in un contesto cristiano e soprattutto umano. C’è certamente una dimensione di odio profondo da parte di Hamas nei confronti di Israele e tutto ciò che è ebraico. Ma questo non è giustificabile. Il dolore dei palestinesi non può giustificare una cosa del genere”. La via d’uscita per card. Pizzaballa è quella di fermare le armi e cercare di trovare, nel tempo, una via di soluzione per questi 5 milioni di persone che non possono vivere sospesi senza prospettive per il loro futuro come popolo e come Nazione.

Da Israele al Piemonte

Per anni ha solcato le strade della Terra Santa alla guida di pellegrinaggi, mons. Marco Brunetti, vescovo di Alba, confida che ha una grande angoscia nel vedere infiammata la Terra Santa anche se ha sempre avuto la percezione che la situazione lasciasse intravvedere come un fuoco che brucia sotto la cenere. “Credo - sottolinea - che sia una situazione che darà una svolta per il futuro di Israele e della Palestina. Dobbiamo assolutamente avere dei punti fermi: solidarietà al popolo di Israele perché quello che hanno subito non è accettabile né tollerabile. Dall’altra parte dobbiamo fare attenzione a non considerare terroristi tutti i Palestinesi. Hamas è una organizzazione terroristica e dovrà rispondere e anche pagare per quello che ha compiuto. Ci sono però moltissime persone palestinesi che non sono da confondere con i terroristi. L’assedio a Gaza significa anche per molti bambini, famiglie, giovani e anziani incorrere in gravi rischi, il pericolo è presente, non vorrei che avesse la meglio la logica dell’occhio per occhio, dente per dente”.

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È una situazione difficilissima da valutare. Brunetti rimarca che la situazione attuale è la sconfitta della diplomazia e del dialogo. Ricorda che i cristiani in quella Terra sono pochissimi, e tra di loro molti sono arabi e vivono in Palestina, teme che possano scegliere di abbandonare la loro casa. Ricorda che questa estate, come diocesi, ha invitato due giovani da Betlemme per la Gmg di Lisbona: “È stato difficilissimo farli uscire dalla Palestina, ci siamo riusciti anche con l’aiuto della Santa Sede, è stata un'esperienza bellissima perché questi due giovani di Betlemme, 24 e 26 anni, hanno interagito coi nostri giovani”. Rimarca che pregare per la pace sia oggi ancora di più un obbligo e spera che il diritto abbia il sopravvento sulla forza.

“La violenza di oggi trova anche le sue radici nell’indifferenza e nell’oppressione verso il popolo palestinese”, sottolinea mons. Giuseppe Cavallotto, vescovo emerito di Cuneo e Fossano, organizzatore negli anni di corsi biblici per sacerdoti e diaconi proprio in Terra Santa. Adesso la situazione è terribile, “sono sconcertato - dice - da questa violenza assurda di Hamas, ma penso anche alla mancanza di diritti fondamentali in cui vive il popolo palestinese. Dobbiamo prendere coscienza della situazione per arrivare a due Stati”.

Almeno una volta all’anno, a volte anche due da decenni è stato in Terra santa, mons. Luciano Pacomio, vescovo emerito di Mondovì, noto biblista inquadra la situazione: “Ho la percezione – afferma - che Hamas, ben armato anche con il sostegno di Paesi come l’Iran sulle tattiche della guerra, abbia dato sfogo ad una rabbia decennale. In Israele, il presidente Netanyahu concentrato sui suoi problemi, anche personali, ha fatto delle alleanze smantellando un po’ tutta l'organizzazione dei capi dell'esercito che erano i più valenti decimando anche la prestigiosa intelligence. Spero - continua - che la sua debolezza lo costringa, grazie anche all'intervento degli Stati Uniti, a mitigare le pretese e a chiudere al più presto, perché sarebbe un macello, sia per gli israeliani che per i palestinesi, soprattutto di Gaza.

La mia speranza - conclude - è che in tempi brevi la diplomazia riesca a far restituire gli ostaggi e a creare uno status quo che sia produttivo e si possa arrivare al riconoscimento dello Stato palestinese. In questo momento mi sembra importantissimo promuovere questa autocoscienza di rispetto reciproco di due Stati, perché il problema vero è l'aggressività attuata con gli insediamenti che continuamente sono fatti in territorio palestinese, come voler rubare palmo per palmo tutta la Palestina dell'ipotetico Stato palestinese”.

Chiara Genisio