A Trinità la bambina di “Tango” nata nelle carceri argentine negli anni della dittatura

La Fedeltà intervista Cecilia Robledo, a cui si ispira lo spettacolo portato in scena da La corte dei folli

E alla fine, dopo oltre quaranta repliche e tanti premi, “Tango” è arrivato a Trinità, paese della bravissima interprete Giulia  Carvelli. Ed è stata subito una forte emozione. Perché il teatro era pieno. Perché il pesante silenzio che regnava in platea comunicava il crescere della tensione. Perché in sala oltre a Estela Robledo e Daniel Pituelli, i due esuli argentini a cui si ispira la storia, per la prima volta c’era la loro figlia Cecilia. Quella Cecilia nata in carcere un 26 giugno 1976. Erano gli anni della dittatura, tra il 1976 e il 1983, nei quali si arrivò a denunciare la sparizione di 30 mila persone, a cui si devono aggiungere altre cifre agghiaccianti come l’appropriazione di più di 500 figli di scomparsi, la detenzione di migliaia di attivisti politici e l’esilio di oltre 2 milioni di persone.

Abbiamo sentito Cecilia per farci raccontare le sue emozioni, quello che ha provato vedendo per la prima volta rappresentata in scena quella che è la sua vita, la vita  della sua famiglia, la storia del suo Paese che ha dovuto forzatamente lasciare. “Di rado partecipo a incontri sull’Argentina, ancor meno a serate come questa, perché nonostante ormai sia grande mi emoziono troppo. C’è ancora un vissuto in sospeso, non risolto e che non sono pronta ad affrontare”. 

“Questa  serata mi ha scatenato forti emozioni perché Giulia è stata bravissima a rendere la nostra storia e trasmettere il nostro vissuto. Perché è come se avessi acquisito una maggior coscienza del mio-nostro vissuto. È stato diverso vederlo rappresentato rispetto a quando me lo raccontavano i miei genitori. Qui tutto era più realistico, non potevo sfuggire a quanto è stato”.

Intervista su la Fedeltà in edicola mercoledì 6 giugno