Wenceslao Pedernera

Testimoni del Risorto 22.07.2015

“La nostra situazione si fa ogni volta più pesante e difficile, la nostra attività pastorale viene segnalata come marxista e sovversiva. Presentano La Rioja come un covo di guerriglieri e Angelelli come il loro capo”. È questa situazione politico-sociale, denunciata dalla curia della diocesi argentina di La Rioja (il cui vescovo è Enrico Angelelli, di cui parleremo la settimana prossima), a far da cornice alla vita ed al martirio di Wenceslao Pedernera, un padre di famiglia crivellato di colpi sotto gli occhi terrorizzati della moglie e delle tre figlie, la maggiore delle quali ha solo 12 anni. Wence deve amare molto la sua “Coca”, se, lui che non ama i preti, accetta di sposarsi in chiesa, come lei desidera. È nato il 28 settembre 1936 a Los Jagüeles, La Calera, provincia de San Luis. Ha solo la terza elementare, in compenso è un gran lavoratore dei campi altrui. Nei vigneti dell’italiano Gargantini, nei pressi di Mendoza, Wence, a 25 anni, conosce Martha Ramona Cornejo, soprannominata “Coca”, ed è amore a prima vista. Lei sogna un matrimonio in abito bianco, naturalmente in chiesa di cui è abituale frequentatrice, mentre lui ne farebbe volentieri a meno, non essendo praticante ed avendo inoltre poca simpatia per i preti. La spunta lei, sotto la minaccia di troncare il fidanzamento, e il 24 marzo 1962 si sposa, regolarmente in chiesa e in abito bianco. Dopo sei anni di fede “dormiente”, Wenceslao, seguendo le missioni popolari predicate da alcuni Oblati di Maria, scopre che la Chiesa non è poi così male e che sui preti (almeno alcuni) può anche ricredersi. Il cambiamento è così radicale che, finita la settimana di “missione”, si ritrova con la moglie a dirigere un gruppo del vangelo tra le famiglie sue vicine di casa. Semplicemente leggendo e commentando insieme quelle pagine, che prima non ha mai preso in mano, la sua fede comincia a crescere fino a diventare l’orientamento di tutta la sua vita. La moglie assiste, incredula e gioiosa, alla radicale trasformazione del suo uomo, arrivando ad affermare che, ad un certo punto, a lui altro più non interessa, se non “Cristo e la Chiesa”. Naturalmente, continua ad impegnarsi nel lavoro, perché da questo gli deriva il necessario per vivere, ma è la fede a dare un tono a tutta la sua vita. Lo sperimenta impegnandosi nel sindacato dei braccianti agricoli, diventando il loro portavoce, prendendo le difese dei più deboli. Ad incidere profondamente sulla sua vita di fede e sul suo impegno cristiano è il vescovo Angelelli, che a La Rioja sta giocando tutto il suo episcopato a favore dei più deboli. Wenceslao si riconosce profondamente nell’impegno che il vescovo sta portando avanti e ne subisce talmente l’influsso da voler a tutti i costi trasferirsi a La Rioja. Alla moglie che cerca di dissuaderlo, facendogli presente che anche a Mendoza c’è tanto bene da fare e che qui non gli mancheranno certo possibilità di impegnarsi, invariabilmente risponde che “a La Rioja è tutta un’altra cosa”. Nel 1973 riesce a soddisfare questo suo desiderio, trasferendosi con moglie e figlie in quella provincia. Prende casa nella cittadina di Anguinan, si mantiene con piccoli lavoretti, ma il ritmo di vita è duro e la povertà è tanta. Alla fine la famiglia si trasferisce a Sañogasta, aderendo ad una piccola cooperativa agricola, dove il lavoro è intessuto di preghiera e la settimana termina sempre con il vangelo in mano, perché ognuno vi possa confrontare la propria vita. Insieme a Wenceslao ci sono tre giovani, che negli anni successivi entreranno in seminario e diventeranno sacerdoti. Quella forma di vita comunitaria desta perplessità, qualcuno li scambia per comunisti o estremisti, anche il vescovo Angelelli, con cui Wenceslao collabora, è in odore di marxismo. Così finiscono tutti nell’occhio del ciclone. Dopo il brutale assassinio di due preti, avvenuto il 18 luglio 1976, all’alba del 25 luglio, qualcuno bussa alla porta di Wenceslao e quattro incappucciati scaricano su di lui una gragnuola di proiettili. Con la morte nel cuore, Coca riesce a caricarlo su un carro e a trasportarlo agonizzante all’ospedale di Chilecito, ma non c’è più nulla da fare. Un prete gli amministra gli ultimi sacramenti, mentre Wence ha solo parole di perdono per i suoi assassini e raccomanda alla moglie di non portare rancore. La diocesi di La Rioja ha sempre ritenuto Wence, il contadino che aiutava gli altri contadini e che si sforzava di vivere il Vangelo, un martire, aprendo nel 2011 la causa della sua beatificazione che nel 2014 è approdata a Roma.